Vialli e (e’) quello che saremmo voluti diventare

La malattia e la morte di Gianluca Vialli ci ha commosso e ferito. Oltre il lutto che si riserva per la scomparsa di un personaggio pubblico, e quindi in qualche modo famigliare, con Vialli va via un pezzo di storia di una generazione che va dalla metà degli anni 60 all’inizio degli anni 80.

Vialli ha rappresentato quello che saremmo voluti diventare: belli, intelligenti, ricchi, famosi e vincenti. Un ragazzo che non è mai stato esattamente simpatico, con quell’aria strafottente e insolente, eppure incapace di risultare antipatico con i suoi modi garbati nella forma ma mai banali nei contenuti: un campione naturale nella comunicazione prima che nel campo da calcio.

Fisico armonico, altezza notevole ma non esagerata, muscoli flessuosi ai tempi della Sampdoria poi solidi ed imponenti ai tempi della Juventus; riccioli sbarazzini da ragazzo a Cremona, biondo platino dopo lo scudetto alla Sampdoria, le calvizie ai tempi della Champions con la Juve che diventano un espediente per essere ancora più sexy. Ecco, Gianluca Vialli era bello. Era quello che volevamo e vogliamo essere noi. Anche lo spacco tra gli incisivi superiori a lui donava originalità. Un superitaliano che ha anche trasformato il suo nome da Gianluca a Luca: più pulito, più efficace, più Vialli.

Vialli, nell’epoca d’oro del calcio e del Paese tra gli anni 80 e 90, ha rappresentato il sogno di portare l’Italia in cima al mondo, la risposta italiana a Van Basten. Ma Italia 90 è stata la sua sconfitta sportiva più amara, complici le circostanze che hanno portato il carneade Schillaci a prendere il suo posto. La classe operaia dei quartieri popolari di Palermo contro l’alta borghesia di Cremona. In quei giorni, in un attimo Vialli è passato da simbolo di un movimento calcistico vincente a principale responsabile della disfatta del terzo posto (insieme all’altro leader della Nazionale Walter Zenga).

I primi anni confusi della Juventus del Trap sono stati solo un passaggio verso la definitiva consacrazione internazionale con Lippi e l’alzata della Champions League nel 1996 sotto il cielo di Roma.

Gli ultimi anni hanno trasformato la sua apparenza di superuomo in una normale ed umana paura della malattia, l’apparente immortalità della gioventù sfibrata da una diagnosi implacabile. Il suo sorriso scanzonato ed al di sopra delle mediocrità si è trasformato in una smorfia pensierosa e triste. E’ l’immagine che più ferisce della parabola di Vialli, un campione che non sarà dimenticato.