Peaky Blinders 5-6: Recensione

Spoiler in arrivo

Fin dalla prima stagione siamo dei grandi estimatori della serie TV Peaky Blinders; oggi, con la chiusura dello show proponiamo la recensione della V e VI stagione.

Una serie che ha fatto innamorare spettatori in tutto il mondo ma che ci ha lasciato una grande delusione nel suo epilogo. E per epilogo parliamo delle due stagioni e non dell’ultimo episodio.

Uno dei punti di forza delle stagioni precedenti era sicuramente la scrittura degli episodi e delle stagioni stesse (sei puntate), che ovviamente culminavano nell’ultima puntata, capace di chiudere le trame narrative sviluppate e caricate durante la serie. Questo non ci pare che accada nella V e VI stagione: ci sono tanti buchi nella sceneggiatura, un po’ di apparente superficialità nello stare dietro a tutte le informazioni date nel corso dello spettacolo, personaggi sviluppati in modo grossolano e superficiale (Arthur e la sua tossicodipendenza, la sua riabilitazione miracolosa ma mai definita e raccontata con chiarezza; anche da Finn Shelby ci si sarebbe aspettati maggiore spessore e presenza ma la sua figura rimane comunque in terzo piano), storie e sotto-storie che finiscono in un vicolo cieco (per esempio Oswald Mosley, che irrompe con efficacia nel racconto durante la V stagione ma che pian piano finisce ai margini e ne rimangono solo poche scene macchiettistiche qua e là; o anche Ada, il cui passare da protagonista a comprimaria è questioni di pochi fotogrammi).

Troppi temi, argomenti, trame irrisolte e senza uno sviluppo armonico e definitivo; ed anche colpi di scena clamorosi e senza apparente logica che comunque non arricchiscono di particolari determinanti la storia (la “resurrezione” di Alfie dà gioia e ci fa rivedere Tom Hardy vicino a Cillian Murphy ma lascia perplessi sulla reale necessità di un particolare tanto bizzarro). Tanti altri esempi potrebbero esseri citati, con il risultato di fare spoiler di particolari inutili alla fruizione del racconto.

Ovviamente non ci sono solo aspetti negativi all’interno di uno show che rimarrà comunque nella storia recente della televisione. Assolutamente positivo e di grande spessore il ritratto psicologico e i conflitti interiori di #TommyShelby, la sua evoluzione ed i suoi progetti sempre più megalomani e solitari.

Spettacolari, come sempre, le scenografie e le ambientazioni “gipsy-chic”, e ancor più notevoli e fonte di ispirazione i costumi dei personaggi ed il loro impeccabile stile.

La serie è terminata come annunciato dai produttori, che comunque hanno fatto intendere che ci sarà un film che sarà il vero epilogo dei Peaky Blinders.

Mezzi di comunicazione tradizionali e Social network

Il decennale dibattito su chi sia più influente tra mezzi di comunicazione tradizionali di massa e social network è arrivato ad un punto di svolta dal 2020. Gli eventi hanno portato la popolazione mondiale a chiedere un incremento di informazione seria e qualificata, a fronte di un’offerta di difficile interpretazione e decodifica da parte del grande pubblico.

La pseudo-rivoluzione dei social ha permesso a tutti gli utenti in possesso di uno smartphone e di un account su una o più piattaforme di accedere ad una miniera (non d’oro) di informazioni, testi, video, foto provenienti da ogni angolo del mondo in tempo reale. E, cosa davvero rilevante, di interagire con essi. O meglio, illudersi di interagire. Condividere, commentare, insultare, approvare contenuti e opinioni su temi di interesse globale è solo una sciocca illusione di partecipazione alla vita sociale. Semmai è solo vita social. Che tuttavia prevede una circolarità, uno scambio apparentemente alla pari, dove anche le stupidaggini del professore di turno possono essere messe in discussione da chi fa un mestiere manuale. O viceversa, dopo le opinioni eleganti di un filosofo, uno storico, o uno psicologo vengono banalizzate e irrise da chi è a secco di qualunque forma di coscienza, autocoscienza, nozione culturale o istruzione.

L’utente medio, il cittadino medio, appare comunque indifeso di fronte alla mole di informazioni da processare e dopo l’impeto di partecipazione si ritira confuso nella sua caverna.

Qui entrano in gioco i mezzi di comunicazione tradizionali. Le scelte editoriali, i “servizi”, le idee e le opinioni hanno una sola direzione, da A verso B e non permettono una possibilità di contradditorio immediata, perlomeno non pubblica. Un classico esempio di comunicazione verticale. L’impeto dell’utente-consumatore dura un paio di secondi, ma soccombe di fronte alle continue ripetizioni e suggerimenti da parte dei mezzi di comunicazione di massa tradizionali (TV e giornali). Per questo capita di trovare il parrucchiere ripetere quello che ha sentito in TV sulla guerra in Ucraina, o l’operaio che sistema la tapparella affermare che la mascherina all’aperto sia di vitale importanza per la salute, nonostante autorevoli pareri non riportati sui mezzi tradizionali affermino il contrario o perlomeno ne mettano coscientemente e senza pregiudizi in discussione la portata fideistica.

Per questo essi avranno un’importanza sempre maggiore, a prescindere dal loro fatturato e dagli introiti per mezzo delle inserzioni pubblicitarie. Il potere ed il ruolo delle TV e, in minor parte dei giornali, è quello di indottrinare senza contraddittorio. Il social rimane solo una scatola vuota per sfogarsi, come urlare “Aiuto” in un tunnel senza via d’uscita.