Ripley – Recensione

Noi che abbiamo amato alla follia il film di Anthony Minghella, Il talento di Mr. Ripley, non potevamo perderci la serie ideata e realizzata da Steven Zaillian. Sceneggiatore di successo, premiato con un Oscar per Schindler’s list, Zaillian ha nella sua filmografia successi come Hannibal, Gangs of New York, The interpreter, American Gangster, The irishman.

Il soggetto è tratto dal romanzo del 1955 di Patricia Highsmith, nel corso degli anni trasposto diverse volte sugli schermi rendendo il pubblico familiare con il contesto italiano anni 50 visto da occhi americani. Un giovane spiantato e truffatore spietato di New York viene inviato ad Atrani (vicino Napoli) per riportare negli Stati Uniti Richard “Dickie” Greenleaf, figlio di un ricco armatore.

La sceneggiatura presenta delle differenze più o meno consistenti rispetto al film di Minghella, e lo spettatore rimane concentrato sulla visione fino agli avvenimenti conclusivi e agli insperati e (in)credibili colpi di scena.

Se il film di Minghella presentava un’Italia colorata, soleggiata e rassicurante, procedendo per contrasto con i macabri fatti del film, la serie di Zaillian ha una fotografia completamente differente. La scelta del bianco e nero rende le immagini meno accattivanti e più inquietanti; Zaillian descrive un’Italia piena di nuvole, tuoni, pioggia e pozzanghere, andando in analogia con il fluire degli eventi narrati. Anche la colonna sonora che fa ricorso ai classici della canzone italiana dell’epoca è in linea con la fotografia, decadente e malinconica come lo era l’Italia pochi anni dopo la fine della guerra: un’Italia provinciale e con le piazze vuote, lenta e poco efficiente, presentata come una lontana periferia del mondo capitalista.

La scelta degli attori: Johnny Flynn è un Dickie meno narciso ed edonista rispetto a quello di Jude Law. I tormenti e l’inquietudine che Flynn dà al personaggio sono una grande differenza rispetto allo sfrontato e infedele Dickie di Law. Particolarmente apprezzabile è la Marge di Dakota Fanning, una donna diffidente e insicura della sua bellezza e della sua intelligenza, capace di aprirsi alla sua tenerezza solo nelle scene finali della serie. Andrew Scott si mette nella scia di Matt Damon, John Malkovich (presente anche nella serie con una piccola ma non insignificante parte) e Barry Pepper, ben interpretando le contraddizioni e le ambiguità di Tom Ripley.

Una serie stilosa ed elegante, lentissima soprattutto nei primi due episodi e poi girata sul filo di una tensione crescente, capace di rendere tutto il prodotto godibile e imperdibile per gli amanti del genere. Macchine da scrivere, lettere, timbri, francobolli, Borsalino, dischi e profumi sono la cifra estetica di questa serie retrò anni 50.

One thought on “Ripley – Recensione

Leave a comment