Caro Nanni, adesso basta con le farse

Il ritorno in sala di Nanni Moretti con Il sol dell’avvenire conferma l’ineluttabile declino del regista romano. La promessa di un film di nuovo pienamente morettiano, con richiami ai suoi lavori rimasti nell’immaginario collettivo come Caro Diario e Aprile, non viene tradita e la pellicola potrà essere apprezzata dai fan più nostalgici.

Chi delude davvero è proprio lui, Nanni Moretti, regista e attore protagonista di un film pieno di autocitazioni e di autoreferenzialità. Se trent’anni fa Caro Diario regalava momenti di ilarità e di riflessione (l’omaggio al luogo dell’uccisione di Pasolini ad Ostia), oggi Il sol dell’avvenire ci consegna un uomo che da “splendido quarantenne” è diventato “orribile settantenne”. Orribile non solo nell’inesorabile trasformazione fisica a cui tutti siamo condannati: il naso ormai una protuberanza priva di grazia, la barba rada e bianca, gli occhi sgranati che da furbi diventano inquisitori, il fisico da magro a magro con la pancia. La bruttezza del film non è lì, ma nella ricerca a tutti i costi della simpatia, del guizzo, del ricordo di un’epoca ormai andata via per sempre.

Il mondo di allora è sparito, rimane Moretti con nuove e vecchie idiosincrasie, ma non regala più sorrisi agli spettatori, solo tristezza e stanchezza: le canzoni cantate in gruppo, la troupe del film nel film che balla Voglio vederti danzare di Battiato, l’odio per i sabot e l’amore per il gelato.

La trama del film è solo contorno, così come i pur bravi Silvio Orlando, Margherita Buy, Barbora Bobulova, gregari per quello che si spera non sia il testamento cinematografico e personale di Moretti, dei suoi fallimenti come marito, come padre e come regista. Anche perchè non se ne sentiva il bisogno.