James Frey – L’Ultimo Testamento della Sacra Bibbia

James Frey confeziona un libro dall’enorme potenza dissacrante. Il Messia è tornato, vive a New York tra Brooklyn, Manhattan e i tunnel sotterranei della metropolitana della città insieme a barboni e disperati. Predica e pratica l’amore libero e non riconosce i testi sacri, di nessuna religione. O meglio, li conosce a memoria, tutti, ma li ritiene obsoleti e ingannevoli, l’unica cosa che conta è rispettarsi tra uomini, amarsi, accettarsi.

Frey, dopo la disintossicazione dall’ultimo stadio dell’alcolismo, si cimenta con il messianico. Esercizio complesso, al limite dell’impossibile, con grossi rischi di passare dal mistico al risibile in poche righe. Ma ciò non accade, Frey scrive pagine dense di pathos e di sofferenza alternata a momenti di serenità e di pace. L’architettura narrativa è forse l’aspetto che dona maggiore armonia a tutto il romanzo. I capitoli sono testimonianze dirette delle persone che hanno incontrato il Messia Ben Zion Avrohom: la vicina di casa ispanica quando viveva in un appartamento delle case popolari, il capo della sicurezza mentre lavorava come guardia giurata in un cantiere edile, la dottoressa che l’ha operato per 11 ore dopo un incidente apparentemente senza possibilità di sopravvivenza, l’agente federale che lo interroga dopo un arresto per vagabondaggio e minaccia alla quieta pubblica…

Le testimonianze di questi dodici “apostoli” sono in ordine cronologico e rendono la fruizione della lettura sempre avvincente e appassionante.

Probabilmente non un libro escatologico, ma comunque capace di intrattenere e di far riflettere a fondo anche su tematiche complesse.