Jean Charles de la Roi – Il viaggio addosso

Girando per gli scaffali di una libreria mi è capitato tra le mani questo volume. Siamo in estate, mi piacerebbe una lettura leggera, narrante viaggi e avventure. Leggo la prefazione di Edoardo Winspeare e l’introduzione editoriale in seconda di copertina (riportata dopo questa recensione) e penso che questo libro faccia al mio caso. Non so ancora che ho in mano un manoscritto portentoso.

lnizio la lettura: sul Lecce-Stuttgart mi faccio prendere dalle avventure picaresche del protagonista, dalle sue esperienze, dall’entusiasmo di partire dal Salento con ardore e con le immancabili masserizie verso la conquista del mondo, passando per Rimini, San Gallo, Venezia, Milano.

Apprezzo le descrizioni dei fatti, le riflessioni introspettive, le citazioni alte e l’orgoglio non solo entusiastico ma documentato verso l’importante cultura locale. Il dialetto salentino, riportato in corsivo e tradotto tra parentesi, è presente, senza essere invadente, soprattutto nelle prime pagine del libro; non è un vezzo da scrittore della domenica.

Apprezzo meno le scene di sesso, il protagonista conquista una donna ogni cinque minuti, campione di erotismo, nessuna gli può resistere. Un misto di invidia e acredine mi portano ad aumentare il ritmo di lettura. Mi rivedo nel protagonista (non nelle sue conquiste) quando parla di viaggi, vita da fuori sede all’università, occupazioni, orgoglio sulle origini, portabandiera del paesino nel mondo, brocche di vino e sigarette.

Insomma, un libro abbastanza facile per l’estate (con i miei ritmi di lettura, per un paio di giorni d’estate). E invece no. Dopo la prima parte il libro vira dal diaristico all’ucronico, la realtà si mischia all’immaginato. I diari scritti dall’autore perdono senso e significato, gli eventi finora narrati non sono più nitidi e netti, diventano i riflessi di un caleidoscopio, la linea del tempo come un disegno di Escher.

L’espediente letterario (si spera che sia stato solo un espediente) di un grave incidente lascia il protagonista Jean Charles senza memoria, tutto quello che è stato narrato fino a quel momento viene messo in dubbio dall’autore stesso. A fatica Jean Charles torna sulle orme del suo passato alla ricerca di una verità, di una vita persa sull’asfalto insieme al suo amico Gennaro. I personaggi descritti e vissuti nella prima parte, così determinanti nella vita di Jean Charles, mostrano una nuova identità e narrano verità alternative, il protagonista è il suo doppelganger. Non vi è più una sequenza ordinata di fatti ed esperienze, la luce viene fatta passare da un prisma diventando sfumata, ambigua, eterea. Non vi è criogenesi come nel film Vanilla Sky (o nell’originale Abres los ojos), rimane però l’incubo lucido di Jean Charles fino allo sconcertante epilogo.

Dalla seconda di copertina.

“La storia di Giancarlo inizia sul Lecce-Stuttgart, treno che conduce le vite e le speranze di tanti lungo lo stivale. Una deviazione verso Venezia convince Gian a iniziare lì il suo percorso universitario e la sua emigrazione moderna. Sebbene tutto intorno a lui contribuisca a recidere in modo silente le sue radici, il giovane conserva intatto il desiderio di ritornare nel suo piccolo paese condividendo il suo sogno con i nuovi compagni che, tempestati dai suoi racconti, immaginano anch’essi di visitare, un giorno, l’utopica terra salentina. Gian esplora corpi, sogna viaggi, s’ingozza di saperi, ama e odia, cresce e si confronta in un ambiente molto diverso da quello contadino a cui era abituato. Un evento inatteso lo costringe a rivedere i progetti iniziali e tentare di riscrivere le pagine della sua vita. L’azzurro del mare e il rosso della sua terra sembrano sbiadire e non essere più la meta ambita del suo viaggio di ritorno. Ora Giancarlo, per alcuni Jean, per altri Gian ma anche Jahn, si affida ai diari, alle fotografie, alle confessioni delle donne che lo hanno amato. Il viaggio alla ricerca di se stesso inizia…