Lee Durkee – Last taxi driver

Dal Mississippi al Mississippi passando per diciassette inverni e mezzo nel freddissimo Vermont. In mezzo la pubblicazione di un libro, un corso (disastroso per stessa ammissione del protagonista del romanzo) all’università su Shakespeare ed una crisi creativa quasi ventennale.

Lee Durkee supera la sindrome della pagina bianca e torna e nei panni di Lou Bishoff, tassista della compagnia All Saints di Gentry, Mississippi. La All Saints svolge un servizio sociale sul territorio occupandosi di offrire passaggi (a pagamento) a malati terminali, tossici, galeotti freschi di rilascio, umanità in carico dai servizi sociali, rappers armati e motociclisti tatuati. Non c’è carità o pietà, molto viene delegato alle capacità di empatia degli autisti. Lou ne ha palate da regalare ai suoi clienti, nonostante le sfighe incredibili che patisce da due decenni. Una conversione al Buddhismo lo aiuta, minimamente, a gestire le nevrosi della vita quotidiana ma una fidanzata depressa perennemente a letto bilancia le sue pratiche di meditazione. Le due forze contrastanti risultano in una singhiozzante sindrome di Tourette e in mal di schiena invalidante.

Lontanissimi dalle mille luci della costa Est e dalle ville con piscina della California, Lee Durkee ci guida nella sconfinata America dei losers mimetizzandosi tra i suoi clienti, gente al capolinea della vita. Un libro ironico e amaro, una risata viene subito compensata da un pugno allo stomaco. Un libro bipolare.

Bentornato Lee!

Last taxi driver

Lee Durkee
Black Coffee, 304 pp., 18 euro