Veronica Raimo – Niente di vero

La storia che racconta Veronica Raimo è quella di una disadattata che affronta la vita tra cinismo ed emotività: un romanzo di formazione dall’infanzia all’età adulta (non della maturità). L’autrice racconta in prima persona eventi probabilmente ispirati alla sua vita, partendo dall’immancabile rapporto con la famiglia: la madre ansiosa ed invadente che la cerca in ogni momento topico ma senza mai davvero fregarsene dello stato psico-fisico della figlia, troppo preoccupata dalle sue paturnie; il padre collerico ed ipocondriaco che la costringe a riti propiziatori per scongiurare malattie potenziali (bagni di alcol e mummificazioni con lo Scottex); il fratello maggiore capace di sintonizzarsi perlomeno con sé stesso, il porto insicuro in cui Veronica prova a rifugiarsi durante le continue tempeste. C’è posto anche per i disagi arrecati dai nonni e dalle zie della provincia foggiana.

Le vicende raccontate dall’autrice hanno inizialmente un tono caustico ma leggero, per poi diventare vagamente cupi nella seconda parte del libro dove i problemi affrontati (o evitati?) ci rendono l’immagine fragile della protagonista. L’ironia e l’autoironia, di cui per fortuna il libro abbonda (a differenza del suo collega di casa editrice e di Premio Strega) diventano strumenti insufficienti per metabolizzare le tragedie raccontate.

Immancabili le fughe a Berlino, tipiche per gli intellettuali e gli artisti nati negli anni 70 (vedi ancora Desiati).

Viene da chiedersi se Veronica Raimo, così affezionata alla sua ginecologa, abbia mai partecipato a delle sedute di psicoterapia famigliare. Forse gioverebbe alla sua salute psicofisica, magari meno alla sua creatività.