William Atkins – Un mondo senza confini

SINOSSI di Adelphi

Un terzo delle terre emerse è costituito da deserti, in gran parte desolati e inospitali. Perché un ambiente così ostile ci affascina da sempre? Quali corde profonde fa risuo­nare in noi il luogo metafisico per eccellen­za, dove terra e cielo si confondono, dove la vita umana è appesa a un filo? Animato dallo spirito di avventura dei grandi esplo­ratori del passato, e spesso armato dei loro libri per ripercorrerne le tracce, William Atkins ci conduce alla scoperta di un mon­do che è tanto interiore quanto fisico. E mentre ci offre il resoconto di sette viaggi compiuti nelle regioni desertiche più re­mote, meravigliose e spietate al tempo stes­so – dal Quarto Vuoto dell’Oman al Victo­ria australiano, dal deserto del Gobi a quel­li degli Stati Uniti -, ne descrive l’ecosiste­ma, la geologia, la flora e la fauna, i popoli che li abitano e la storia che li ha modella­ti, dalle trivellazioni petrolifere ai test nu­cleari, fino agli odierni raduni hippie. Ma Atkins non è soltanto un trascinante nar­ratore di viaggi: il deserto è qui esplorato anche come strumento di connessione pro­fonda con noi stessi e con la natura, mani­festazione ultima dell’immobilità e del si­lenzio. Una visione che del deserto trasmet­te tutta l’immensità – e ci ricorda che, anche in un mondo dove ogni paesaggio è dispo­nibile con un click, avventura e scoperta, so­litudine e isolamento sono ancora possibili.

Ricordi di Guerra a Castel Frentano (CH)

L’Associazione Quattro Stagioni presenta “RICORDI di GUERRA”

Un toccante documentario sulla seconda grande guerra a Castel Frentano, arricchito con interviste ai Castellini che hanno vissuto quel periodo nero.

Mercoledì 24 aprile nella sala “Santo Stefano” detta anche “Monte dei Morti”, Castelfrentano (CH)

PREMESSA di Raffaele Campitelli

Il 1943 è un anno cruciale per le sorti dell’Italia. Il paese, straziato dai bombardamenti e invaso dagli alleati, che il 10 Luglio, con l’operazione Husky sbarcano in Sicilia è allo stremo. Nella notte tra il 24 e 25 Luglio, il gran Consiglio del Fascismo approva l’ordine del giorno Grandi che sfiducia il Duce rimettendo i poteri nelle mani del Re. Mussolini viene arrestato mentre viene nominato Capo del Governo e Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. La popolazione esulta; caduto il Fascismo, s’illude che finisca anche la guerra, ma non sarà così. Badoglio proclama alla Nazione che la guerra continua. Tuttavia, instaura segreti colloqui con gli alleati per uno sganciamento dalla Germania nazista ed una pace separata. Sono giorni di frenetiche trattative e di reciproche diffidenze. Alla fine si firma l’armistizio, a Cassibile, in Sicilia, il 3 Settembre. E’ una resa senza condizioni che avrà pesanti conseguenze per il Paese. L’Annuncio al popolo italiano viene dato la sera dell’ Settembre 1943. Gli italiani hanno la guerra in casa. Al sud ci sono gli alleati della V armata americana e dell’VIII armata britannica che risalgono lo stivale, i primi sul Tirreno, i secondi sull’adriatico. Al nord ci sono i nazifascisti che occupano militarmente la penisola e instaurano la Repubblica Sociale Italiana, con a capo Mussolini, liberato nel frattempo dalla prigionia di Campo Imperatore. Di fatto il paese è spaccato in due. Al centro, nel punto pù stretto della penisola, viene creata ad opera del Maresciallo Kesserling la Linea Gustav. Una linea fortificata che corre dalla Foce del Garigliano, vicino Gaeta a Ovest, fino a Ortona a est, passando per Cassino. Una linea difensiva difficile da scardinare. Resa quasi impenetrabile dalla natura impervia dei luoghi e dal clima crudo dell’inverno, tiene in scacco le forze anglo Americane dall’Ottobre del 1943 al Maggio del 1944. Nel settore Adriatico della Gustav e in particolare nella zona frentana viene approntata, a partire dal 3 Ottobre ’43, la Linea Bernhard o Linea d’Inverno a seguito dello Sbarco alleato a Termoli e della successiva conquista del Molise e del vastese. Da Alfedena si snoda fino a Fossacesia. A dividere i due schieramenti vi è il Fiume Sangro. Il Generale Montgomery, comandante in capo dell’VIII attende il momento giusto per sferrare l’attacco. Il tempo è inclemente e non è facile attraversare il Fiume, in piena e sprovvisto di ponti, fatti saltare dai tedeschi. Il ciglione sinistro del fiume è saldamente in mano tedesco e ben fornito di postazioni difensive. A partire dal 26 Novembre iniziano i combattimenti, con pesanti bombardamenti aerei e di artiglieria. Tra il 28 e il 29 gli alleati passano il Sangro. Il corpo Britannico che include anche i feroci Gurkha indiani si dirigono verso Mozzagrogna, Santa Maria Imbaro e Fossacesia, i Neozelandesi puntano Castel Frentano. Attraverso varie direttrici, i battaglioni 23, 24, 25 e 26 neozelandesi risalgono le colline dalla piana del Sangro fino al Paese, Liberandolo il 2 Dicembre. Ci sono aspri scontri con numerosi caduti di entrambi gli schieramenti soprattutto nella zona che va da San Rocco al Capozziello e Villa Lanza, dove c’è il comando Tedesco. Un altro comando è dislocato a Villa Cavacini, in Via Assunta. I tedeschi sono costretti alla ritirata tra Ortona e Orsogna. Da qui martellano Castel Frentano con pezzi di artiglieria, mirando ma senza mai colpirlo, il Campanile della Chiesa di Santo Stefano. Tuttavia questi colpi andati a vuoto colpiscono diversi caseggiati limitrofi e la zona della frana. In seguito il fronte di stabilizza sulla nuova linea del Fiume Moro. Orsogna e soprattutto Ortona divengono teatri di tremende battaglie. Ortona in particolare si guadagna il triste appellativo di Stalingrado d’Italia per l’enorme sacrificio tributato in termini di distruzione materiale e caduti civili e militari. La linea Gustav cade solo nel Maggio del 1944. Si chiude così un capitolo nero della nostra storia e ne comincia un altro, faticoso ma illuminato dalla speranza di una rinascita morale e materiale.

Pioneer 10: Il viaggio più lungo

Affascinante messaggio in bottiglia lanciato dagli uomini nel 1972. La placca inserita sulla nave spaziale Pioneer 10 serve a parlare di noi a civiltà non umane lontanissime. Con ogni probabilità la missione della Pioneer 10 sopravviverà all’esistenza dell’uomo stesso e forse un giorno verrà intercettata da altre forme di vita intelligenti.

Per maggiori informazioni sulla missione Pioneer 10. Per maggiori informazioni sulla placca.

Gli ultimi aggiornamenti sulla missione.

Bibliografia: Carl Sagan, Contatto cosmico, Rizzoli Editore, 1975.

Osvaldo Soriano – Artisti, pazzi e criminali

Presentazione editoriale della casa editrice Sur.

Il duo comico formato da Laurel e Hardy, il politico Juan Domingo Perón, il compositore Lucio Demare, gli sportivi Obdulio Varela e Sonny Liston, l’imprenditore Johann Suter e l’assassino Carlos Robledo Puch sono solo alcuni degli incredibili nomi che animano le pagine di Artisti, pazzi e criminaliuna selezione degli articoli più iconici di Osvaldo Soriano riuniti in un unico volume dallo stesso autore nel 1983. Sedici brani in cui i protagonisti emergono dalle pagine come delle figure moderne e umanissime – spesso tragiche e contraddittorie – il cui successo è divenuto tristemente sinonimo di violenza, solitudine e rovina.

Senza rinunciare all’immancabile ironia e allo spirito critico che sempre lo contraddistingue, Osvaldo Soriano ci accompagna in un viaggio che ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera. E, affiancando alle vicende dal respiro internazionale i profili di alcune fra le più famose ed enigmatiche personalità della storia argentina, ci racconta, come nessuno ha saputo fare meglio, le atrocità e gli splendori degli anni Settanta.

Roberto D’Aversa esonerato e l’ipocrisia dei valori dello sport

Il finale di Lecce-Hellas Verona con il faccia a faccia tra l’allenatore del Lecce Roberto D’Aversa e l’attaccante Thomas Henry ha suscitato grande interesse mediatico tra gli sportivi ed è culminata con l’esonero dello stesso allenatore. L’US Lecce si libera del suo tecnico in un momento decisivo della stagione, rischiando di confondere la squadra e di rendere l’ambiente ancora più teso ed instabile.

Il circo mediatico si è levato contro l’allenatore abruzzese: giornalisti, opinionisti, ex arbitri, nasando l’umore generale si sono prontamente lanciati sul cadavere (sportivo) del tecnico, spiegando il come ed il perchè il suo momento di impeto sia censurabile, suggerendo più o meno direttamente che non fosse più adatto al ruolo di guida tecnica del club salentino. E a nulla sono valse le pur comprensibili parole di scusa dell’allenatore, che ha spiegato come fosse andato lì per difendere i propri calciatori dalle provocazione, un atteggiamento che poteva ricordare quelli proposti negli ultimi anni da Josè Mourinho.

Nelle prime ore dopo l’episodio la società leccese aveva preso le distanze dal suo stesso allenatore, rilasciando una nota che di fatto lasciava presagire il successivo esonero. Nella nota troneggiava maestosa l’espressione di condanna del gesto “contrario ai principi ed ai valori dello sport”. Viene da chiedersi quale siano questi valori e principi a cui la società giallorossa fa riferimento, in un contesto calcistico nazionale ed internazionale pieno di contraddizioni, disvalori, mancanza di rispetto del pubblico e genuflessione al denaro.

Il club salentino sotto la presidenza di Saverio Sticchi Damiani ha intrapreso un percorso virtuoso di gestione del patrimonio, dell’aspetto sportivo ed anche dell’immagine: oggi il Lecce è considerato un club solido economicamente, tecnicamente valido e con un’immagine positiva, rispettata e che si rispecchia nella faccia pulita di Sticchi Damiani e nel nome di Lecce citato da tv a livello nazionale.

A livello societario gestire un campionato di calcio di serie A non è solo allestire una rosa o organizzare una conferenza stampa; i delicati equilibri fanno riferimento anche alle aspettative e all’immagine degli sponsor, che evidentemente e forse giustamente non hanno avuto piacere nel veder riproposto centinaia di volte l’allenatore leccese vicino al viso del centravanti veronese.

Il comunicato ufficiale di esonero del club giallorosso si distingue per freddezza e mancanza di empatia con la sua (ex) guida tecnica, con la reiterazione del concetto che la decisione è maturata a seguito dei “fatti avvenuti al termine della gara Lecce – Verona”.

Resta la sensazione che l’esonero sia figlio di una scelta soprattutto di immagine (e di immagini televisive), ineccepibile considerando che il calcio oggi purtroppo è molto più vicino al Grande Fratello che all’odore di fango ed erbetta: il contatto non è violento e non premeditato, è stato un cambio di postura di D’Aversa probabilmente a seguito di uno scambio di paroline non gentili con Henry. Totalmente fuori luogo e tendenzioso appare il paragone con i pugni in faccia che Delio Rossi diede a Ljajic del 2012; un modo per mettere alla gogna il comunque sempre corretto tecnico.

Vedremo se la scelta del club salentino avrà un seguito sportivo positivo per una serie A che nel tacco d’Italia viene giustamente considerata preziosa come un panda.

Vantaggi di viaggiare in treno – Antonio Orejudo

“Vuole che le racconti la mia vita?” A fare questa domanda è lo psichiatra Ángel Sanagustín, e ad ascoltarla l’agente letteraria Helga di ritorno dalla clinica dove ha appena lasciato in cura il marito. La narrazione inizia sulle avventure e peripezie di Martín Urales de Úbeda, un paranoico ex soldato che nei Balcani ha assistito ad abusi e a sevizie, e che oggi vive senza un braccio in una casa nei pressi di Madrid sommersa di rifiuti perchè crede nei complotti della lobby dei netturbini.

Da questo momento il ritmo è incessante e senza pause, simile ad un flusso di coscienza, una fluidità di racconto che tiene il lettore con gli occhi fissi sulla pagina. Una trama labirintica che si riavvolge su sé stessa, senza tuttavia perdersi in contorsionismi indecifrabili, capace di offrire passaggi durissimi a tinte pulp e una buona dose di “arrosto” contenutistico soprattutto a livello psicologico-psichiatrico. La fruizione del libro è immediata, non è fondamentale distinguere la realtà dalla finzione e soprattutto la differenza tra delirio psichiatrico e “normalità”.

Orejudo scrive un romanzo ma le sue pagine potrebbe essere un saggio su cos’è oggi il romanzo postmoderno.

Perchè scopro l’esistenza di questo libro del 2000 solo oggi? Perchè leggo questo romanzo solo nel 2024? Il libro è stato pubblicato in Italia nel 2022 da Alessandro Polidoro Editore, dopo aver avuto un ottimo successo editoriale in Spagna nei decenni precedenti, ed è stato subito amore. Dal romanzo è stato anche tratto un film.

Past Lives – Recensione

E niente, la nouvelle vague coreana continua a mietere successi cinematografici e a dettare la linea al nuovo cinema d’autore mondiale. Past Lives, debutto alla regia di Celine Song, esce in Italia nel giorno di San Valentino. Ma è romantico un film che parla di rimpianto, del caso, dell’inconsapevolezza con cui compiamo scelte fondamentali per la nostra (in)felicità? In coreano il concetto si esprime in In-yun, apparentemente intraducibile in altra lingua ma è evidente che una delle finalità del film sia proprio quella di avvicinare lo spettatore occidentale ad un aspetto peculiare della cultura asiatica.

La trama. Due bambini coreani si “innamorano” ma lei deve trasferirsi in Canada con la famiglia. Dopo 12 anni e grazie agli onnipresenti social network e sistemi di videochiamata si rincontrano e si “rinnamorano”. Passano altri 12 anni, le loro vite sono andate avanti seguendo una linea retta e i due finalmente si rivedono a New York dove lei vive ed è sposata con uno scrittore americano. Cosa succederà? Vincerà il rimpianto o la voglia di prendere in mano la propria vita cedendo la gloria in cambio della passione?

Film stilisticamente ed esteticamente perfetto: la fotografia è in grado di ipnotizzare lo spettatore ed alcune scene sembrano dei quadri che rappresentano la vita quotidiana (seppur in città affascinanti come Seoul e New York). Il ritmo è lento il giusto per un film che ambisce a collocarsi nel settore autoriale ed impegnato. Un film che appare destinato a rimanere nell’immaginario del pubblico, come i suoi possibili omologhi ipertestuali: Sliding Doors, Lost in translation, LaLa Land e Perfect Days.

Manuel Munoz – Le conseguenze

Quando sfogli il libro di Manuel Munoz, una raccolta di racconti elegantemente presentati dalla casa editrice Black Coffee, ti chiedi quale sia lo stile e quali siano i temi della letteratura americana contemporanea. Domande complesse e senza risposte univoche, eppure il quesito galleggia sui pensieri.

Munoz presenta la sua versione attraverso racconti “neorealisti” (si potrà dire così?), storie di marginali ai bordi di un sogno americano che rimane principalmente un incubo senza lacrime. Braccianti messicani che non parlano inglese, i cui figli nati in America lamentano la doppia assenza tra la sconosciuta terra d’origine e l’impenetrabile nazione che gli dà la cittadinanza. L’artigianale lavoro di Munoz va all’origine stessa della letteratura più pura e autentica, dando una forma solida ai cuentos eterei ascoltati in casa fin dalla sua giovane età.

Losers, storie di frontiera: Munoz col suo lavoro rende una fotografia dignitosa di questa lunga fascia di umanità che vive le sue giornate senza lacrime e senza strepiti.

La traduzione italiana di Annalisa Nelson consegna ai lettori un testo pulito, asciutto, minimalista e didascalico, che si inserisce nella tradizione solcata un secolo fa da Hemingway. Lo stile narrativo scelto dall’autore è freddo, le emozioni appaiono nei contenuti stessi dei racconti e non nella scelta delle singole parole: il proverbiale pragmatismo a stelle e strisce diventa stoicismo amexicano. Nei contenuti appare evidente l’assonanza con i temi proposti da autori in titoli di grande successo, come Furore di Steinbeck ed anche Un anno terribile di John Fante. Due parole sulla casa editrice Black Coffee, bella realtà dalla linea editoriale chiara e decisa, che tratta i contemporanei americani in una veste grafica accattivante e che invita alla lettura.

Killers of the flower moon – Martin Scorsese

Quando leggi che le candidature all’Oscar per Killers of the flower moon di Scorsese sono addirittura 10 tra cui le pesanti “Miglior film” e “Miglior regia”, allora ti chiedi se hai mai capito qualcosa di cinema.

Il film con Dicaprio, a suo agio nei panni del redneck Ernest Burkhart, un reduce dalla I guerra mondiale, scarpe grandi e cervello non fino, ha una durata di 206 minuti e tende a sfinire anche lo spettatore più paziente, volenteroso, terzomondista e progressista. Soprattutto l’eterna introduzione sul contesto storico e sociale (la riserva degli indiani Osage negli anni 20 del secolo scorso), rischia di fiaccare l’amore che si nutre per il buio in sala.

Lily Gladstone, anche lei candidata agli Oscar come migliore attrice protagonista, recita bene la parte della moglie di Dicaprio donando al ruolo drammaticità e compassione; mentre Robert De Niro appare la caricatura dell’attore che fu (non per le indiscutibili capacità, quanto per scelte che negli ultimi 20 anni hanno spiazzato i suoi fan e reso la sua faccia un puzzle di personalità che spazia da Max Cady a Ti presento i miei).

La seconda (o è la terza?) parte del film aumenta leggermente di ritmo (non che fosse difficile), e anche un briciolo di azione entra nel film oltre la didascalica e aulica descrizione della cultura Osage e delle angherie da essi subite per mano del perfido uomo bianco.

L’intento di Scorsese è nobile, dona al pubblico una triste pagina di storia, ma la domanda mi rimane in testa: è una pagina di buon cinema?

Veronica Raimo – La vita è breve, eccetera

L’enfant prodige della narrativa italiana Veronica Raimo è tornata in libreria con una raccolta di racconti pubblicata nell’elegante collana “Supercoralli” della sempre elegantissima Einaudi. Dopo il sorprendente ed apprezzato Niente di vero del 2022 (Premio Strega Giovani) la scrittrice romana in questo nuovo lavoro si ripete parzialmente nei temi e nello stile, consegnando agli scaffali un libro con le solite punte caustiche ma anche con passaggi più malinconici, riflessivi, forse addirittura intimi ed introspettivi.

La Veronica Raimo che preferisco è quella acida e dissacrante, incuriosita dalle bassezze proprie e della vita di chi incrocia il suo cammino, quella che non si prende mai sul serio e che si diverte a smontare le certezze di sabbia dei suoi stessi lettori. Non dispiacciono neanche i racconti più “normali” della raccolta, probabilmente un passaggio in cui l’autrice voleva misurarsi, senza troppa convinzione. La sua cifra rimane l’ironia, il suo stile la freddura acida nel non risolvere la complessità delle relazioni umane ed amorose. Alcuni racconti sembrano leggermente forzati (“Sono tutti forzati”, direbbe lei), privi del naturale spirito sardonico dell’autrice.

Ram Pace – Educazione indiana

Se siete in cerca di un romanzo di formazione, avete trovato il libro che fa per voi. L’opera di Ramchandra (Ram) Pace va anche oltre tale definizione, essendo un lavoro che in controluce analizza anche il difficoltoso rapporto con i genitori, facendosi domande che appaiono più che legittime per il vissuto di un figlio che ha subito due abbandoni: il primo da parte della mamma in età prescolare, il secondo da parte del padre, ripetuto a più riprese nel corso dell’adolescenza. Il libro è reso ancor più prezioso per chi vuole approcciarsi delicatamente alla complessa (per gli occidentali) cultura induista e alla stoica povertà materiale di milioni di persone che popolano il continente (struggenti alcuni passaggi nel mezzo delle discariche di Delhi, con sorridenti bambini che rovistano tra le montagne di rifiuti e dignitosi indiani nullatenenti che offrono caramelle in dono ai Baba).

Ram nasce da due genitori dalla forte personalità, alla perenne ricerca di loro stessi e dello scopo della loro esistenza; genitori troppo concentrati sulla ricerca per dedicare le giuste attenzioni che meriterebbe un bambino. Il romanzo inizia a Londra, dove il protagonista vive con la mamma la sua infanzia all’interno di una comunità popolata da persone con malattie mentali: i primi ricordi di Ram descrivono “folli e schizofrenici”. Tornato a Roma con l’affidamento al padre, Ram parte per un viaggio in India e vive esperienze incredibili per un bambino occidentale; leggerezza e incoscienza lo portano a dare un senso ed un significato a quei lunghi mesi nei villaggi dell’India orientale.

Non c’è solo rancore o risentimento nei confronti dei genitori, persone capaci di dare al figlio una cultura non convenzionale ed un’educazione fuori dagli schemi occidentali (“Educazione indiana”, appunto), tuttavia la bussola metaforica lasciata dai genitori (in particolare dal padre) non è sempre sufficiente a Ram per orientarsi nelle difficoltà quotidiane della vita di chi resta a Roma: una casa che è una comune popolata da freak ma anche da persone interessanti, senza riscaldamento, con infestazioni periodiche di topi, impianti elettrici e fognari fatiscenti. Senza contare l’aspetto emotivo ed esistenziale di un adolescente che si misura con la ruvida ma comunque generosa periferia romana: un vissuto che lo accomuna a tanti ragazzi che a cavallo degli anni 90 e 2000 sono cresciuti tra centri sociali, cannabis, cineforum e musicassette.

Ram trova la sua strada, la sua realizzazione professionale e personale, portandosi sempre dietro un sentimento ambivalente nei confronti dell’istrionico padre (ormai Baba Pace) e dell’assente madre: visti i risultati conseguiti, viene da chiedersi se alla fine i genitori non abbiano svolto un lavoro prezioso e tangibile per il tormentato Ram.

Prima della pubblicazione del libro, Ram Pace (filmmaker professionista) ha realizzato un documentario autobiografico tra l’Italia e l’India, Samsara diary (qui il link https://www.youtube.com/watch?v=rHBkaUjW7OA ).

Perfect Days – Wim Wenders

Torna il cinema onirico di Wim Wender, Perfect Days è un film ed anche un documentario su Tokyo e sui suoi bagni pubblici.

Hirayama è un uomo solitario, vive da solo in un giapponesissimo appartamento pieno di libri, dischi, musicassette e bonsai; ogni mattina la sua routine prevede barba con rasoio elettrico e spuntatina ai baffetti alla Marrabbio, e poi la partenza verso le fameliche bocche di water della metropoli giapponese. Hirayama tutte le sere cena in un baracchino nella stazione della metropolitana, poi legge una pagina di uno dei suoi innumerevoli libri ed infine si corica sul futon. E poi sogna: alberi, foglie, cielo, ombre.

Questa routine viene presentata in loop dal regista tedesco, quasi citando ben più adrenalinici film come Source Code. Ogni giorno, in una vita comunque piatta, Hirayama trova il senso della sua esistenza. Non tanto dalle relazioni sociali sporadiche in cui suo malgrado viene coinvolto, quanto dalla sua stessa solitudine: essere soli in una metropoli, un ossimoro su cui già si è riflettuto.

Nell’estetica orientale il film di Wenders ha il suo punto di forza, e richiama il cinema di Takeshi Kitano anche nelle ambientazioni e in alcune eccentricità dei personaggi. Imperdibile per gli amanti del paese del sol levante, piacevole per i cultori di Wenders, curioso e non del tutto estenuante per gli amanti del cinema.

Il mondo dietro di te – Un film di Sam Esmail

#Recensione #IlMondoDietroDiTe #Netflix Un film distopico (parola che dal 2020 è entrata costantemente nel vocabolario quotidiano). Ben girato in tempi verosimilmente brevi dal regista Sam Esmail e ottimamente recitato da un cast importante che include Julia Roberts e Ethan Hawke. Sceneggiatura sul filone #BlackMirror, con la tecnologia condanna e salvezza dell’uomo.

Il film segue il filone catastrofista contemporaneo e riprone lo schema di fondo proposto da Don’t look up: i potenti del pianeta e le informazioni privilegiate a cui hanno accesso, i “complottisti”, macro-categoria che include folli e visionari, e la massa inebetita che non ha idea di quello che accade nel mondo e che avendo passato la vita ad ascoltare le verità ufficiali dai canali mainstream, si ritrova perduta quando questi vengono messi fuori uso. Ci si potrebbe dilungare sui messaggi più o meno nascosti che il film propone, io consiglio di vederlo e di non interpretare più di tanto le verità che vengono apertamente rivelate.

Meritevole di menzione riportare i produttori del film: Barack Obama e Michelle Obama. Qual è l’interesse dell’ex presidente degli Stati Uniti e della ex first lady nel produrre un film distopico e catastrofista? Un film che colpevolizza le politiche degli USA e mette l’accento sui disastri compiuti dagli uomini sulla Terra, tralasciando il fatto che la massa ha sempre subito tali decisioni e che esse sono state imposte da chi è in alto nella catena di potere. Probabilmente più in alto di un presidente degli USA, che è solo il simbolo di interessi e gruppi.

Alessandro Leogrande – Fumo sulla città

Saggio arioso in stile Gomorra per il compianto Leogrande, morto improvvisamente nel 2017 nel pieno della sua carriera di giornalista e scrittore.

Fumo sulla città narra la Taranto a cavallo del millennio, quando Arcelol Mittal non era ancora Ilva ma Italsider. Da tarantino Leogrande portava all’attenzione del dibattito nazionale il fenomeno Italsider, anticipando quello che sarebbe diventato un tema di interesse generale ancora oggi in cerca di una soluzione accettabile. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Taranto si trasforma e ricrea un nuova identità passando da centro di produzione bellica e militare a capitale della siderurgia pesante Europea, con la conseguente immigrazione dalle regioni limitrofe di contadini alla ricerca di un lavoro fisso. Lucido è Leogrande quando descrive storture del mostro industriale Italsider, l’inquinamento asfissiante e le mancate manutenzioni, i modelli funzionanti tedeschi mai applicati e la palazzina Laf: il mobbing prima del mobbing.

Non solo fumo e inquinamento: Leogrande disegna la geografia umana e l’antropologia urbana del centro storico della città dei due mari, con le sue difficoltose condizioni di vita che riguardano strati consistenti di popolazione; la nascita del quartiere Paolo VI negli anni 60, con in Pontefice che celebrò messa all’ombra degli altiforni, un territorio ancora oggi in cerca del genius loci; l’ascesa politica di Vincenzo Cito, sindaco e profeta della città per diversi lustri, amato dalle fasce popolari e osteggiato dalla borghesia illuminata; l’ingenua illusione vissuta dai tarantini progressisti con Ippazio Stefàno, il sindaco pediatra che girava per la città con la pistola nei pantaloni.

Un testo prezioso per chi vuole avvicinarsi alla comprensione di una delle città più affascinanti del Mediterraneo.

Racconti di due Americhe

Storie di disuguaglianza in una nazione divisa è il sottotitolo della raccolta curata da John Freeman. I contributi in prosa (la maggioranza), in versi ed anche grafici di diversi autori fungono da frammenti variopinti e incisivi per la tela immaginata da Freeman. Un lavoro moderno per la sua struttura letteraria (non è una semplice raccolta) e per la sua tesi di fondo: pur tenendo ben presente le differenze socio-economiche tra gruppi etnici, il libro non vuole essere una banale dicotomia tra i bianchi-cattivi e le minoranze-buone, e affronta la complessità del tema con delicatezza ed efficacia.

Nessun buon selvaggio latino, nero, asiatico o nativo popola il continente americano, le difficoltà dei cittadini dettate da una società basata sulla ricchezza (e sulla povertà) individuale sono trasversali seppur con evidenti sbilanciamenti a favore dei bianchi. Trovare una casa in affitto, pagare un mutuo per evitare il pignoramento dell’immobile, finanziarsi gli studi in un’università (più o meno) prestigiosa, sono temi universali ma con un grandissimo impatto sociale ed emotivo in America.

Gli autori evitano l’autocommiserazione anche se toccano le corde dell’emotività con narrazioni (anche) autobiografiche, e per questo dall’indubbio valore neorealista.

La nazione risulta sicuramente divisa: le mille luci di Manhattan famigliari al turista europeo appaiono lontanissime dalle tendopoli delle periferie delle metropoli della costa West, le stelle di Hollywood solo uno specchietto per chi vive nei trailer-camp sparsi lungo tutto il territorio statunitense. Il fatto che negli Stati Uniti sia ampiamente diffusa tra la popolazione una povertà a tratti spaventosa viene riportato in maniera chiara, forte e impeccabile.

Freeman coordina autori non canonici per lasciare al lettore un libro che nel suo insieme è un ritratto neorealista del paese a stelle e strisce, e il cui alto valore letterario viene perfettamente reso nella traduzione italiana di Federica Aceto.

Vincenzo Cerami – L’incontro

Un piacevole romanzo scritto nel 2005 dal compianto Vincenzo Cerami. Un enigma scritto da un professore universitario di Roma, indecifrabile per i più, finisce tra le mani di uno studente di statistica di Milano. La risoluzione del gioco diventa una caccia al tesoro in giro per l’Italia, ripercorrendo alcuni momenti dolorosi della storia degli ultimi 50 anni del nostro Paese. Erudito e dai contenuti importanti, scorrevole e piacevole.

Prefazione del guru dell’enigmistica italiana Stefano Bartezzaghi.

Qui un’intervista dell’epoca all’autore.

Il viaggio (dorato) di Mancini in Arabia Saudita

Un diluvio di parole si abbatte sui lettori di giornali sportivi in questa estate 2023: Roberto Mancini lascia l’Italia e va in Arabia Saudita. Lo fa con una email certificata pochi giorni prima di ferragosto, lasciando i dirigenti ed i tifosi italiani perplessi ma anche con un senso di liberazione. Il suo ciclo da c.t. era chiaramente terminato dopo la mancata qualificazione ai Mondiali 2022. La FIGC aveva comunque tirato dritto, rinnovandogli fiducia e conferendogli incarichi da supervisore delle nazionali giovanili. Sin dai primi minuti post-dimissioni si inizia a vociferare che Mancini abbia un’offerta incredibile dall’Arabia, informazioni che i normali tifosi non possono avere e quindi sicuramente provenienti da fonti molto attendibili. Inizia il dibattito: ha fatto bene? Ci ha tradito? Si fa così? La stampa prende una posizione netta, condannando la fuga di Mancini, i modi e i tempi, la mancanza totale di stile e lealtà. Ma c’è davvero da stupirsi? Tutta la carriera di Roberto Mancini è fatta di fughe, di cambi in corsa, di colpi di scena e di generale mancanza di linearità.

Tralasciando la pur tribolata carriera da calciatore, di cui ancora si narrano gli scazzi con Bearzot, il pessimo rapporto con la maglia azzurra e le zero presenze a Italia 90, la corte di Moratti per strapparlo alla Sampdoria, il passaggio alla Lazio e i pochi mesi al Leicester, l’esperienza da allenatore inizia nel 2001 alla Fiorentina sprovvisto di patentino di I categoria e con una precedente esperienza nella stessa annata come allenatore in seconda di Eriksson alla Lazio (in Italia un allenatore non può sedere su due panchine durante la stessa stagione). Praticamente due deroghe per permettergli di iniziare la carriera. Il passaggio alla Lazio e poi all’Inter, ricoperto d’oro da Moratti e lasciato (anche qui per il sollievo degli interisti) in diretta televisiva dopo un’eliminazione in Champions League contro il Liverpool (indelebili nella memoria dei tifosi le tremende figure contro Valencia e Villareal).

Anni dopo il ritorno all’Inter esercitando pochi mesi prima una clausola liberatoria con il Galatasaray, club con cui lavorava da pochi mesi. Due anni tribolati con i nerazzurri e poi l’esilio verso San Pietroburgo, dove si dimette il 13 Maggio 2018 per firmare con la Nazionale Italiana il 14 Maggio 2018. Di pochi giorni fa il passaggio all’Arabia Saudita, una nazionale che non può competere per blasone e livello tecnico con l’Italia.

Una carriera da tecnico costellata da ripensamenti, colpi di umore, cambi in corsa, irrequietezza: questa volta ha prevalso, evidentemente, l’aspetto economico. Non ci sentiamo di biasimarlo ma rimane la sensazione di amore tradito da parte dei tifosi italiani. E magari immaginiamo tra qualche anno Roberto Mancini seduto su una nuova panchina esotica e milionaria.

Marcus Sedgwick – Santa muerte

Il tema della frontiera Usa/Messico è un filone letterario e cinematografico di grande interesse. Giornalisti, scrittori, registi hanno descritto gli scambi, i sogni, le tensioni che permeano i due lati del confine. Non necessariamente pericolo, morte e narcos costruiscono l’immagine di uno dei luoghi più iconici del nostro pianeta, dove l’umanità si riversa in cerca di appagare i propri bisogni primari. Necessità che spesso corrispondono ad un lavoro migliori per i messicani e i centroamericani, divertimento a basso prezzo per gli statunitensi. Il libro racconta le vicende di due amici di Anapra, l’ultimo quartiere di Ciudad Juarez prima del “Norte”, e fornisce anche brevi ma comunque preziose nozioni sull’eterno scambio che passa dalle dogane. Interessante la distinzione che porta tra libera circolazione di merci e capitali (le maquiladoras e il Nafta) e non libera circolazione di essere umani. Per gli amanti delle storie di confine.

Dalla presentazione dell’editore

Anapra è uno dei quartieri più poveri della città messicana di Juarez: venti metri fuori città si trova una recinzione, e al di là di essa l’America, il pericoloso obiettivo di molti immigrati. Faustino cerca di sfuggire al cartello della droga per cui ha lavorato. Il capo della banda gli ha consegnato un sacco di dollari che avrebbe dovuto nascondere, ma Faustino l’ha usato per pagare il viaggio della sua ragazza incinta oltre il confine con l’America. La libertà non è economica. Faustino ha solo 36 ore per sostituire i soldi mancanti, e il suo amico Arturo è l’unica persona che può aiutarlo a recuperare i soldi in una partita a carte mortale con gli spacciatori. Arturo deve giocare non solo per la libertà ma anche per la vita del suo amico, mentre la sua stessa esistenza è in pericolo. Per vincere, potrebbe dover imbrogliare la Morte stessa. Un thriller potente, efficace e attualissimo su migranti, signori della droga e guerra delle bande, ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico.

Pajtim Statovci – Le transizioni

Cercate una lettura fluida per l’estate? Avete voglia di un romanzo di formazione? Vi interessate anche di mitologia albanese?

Se avete risposto sì ad una di queste domande, non potete non considerare di leggere questo libro.

Pajtim Statovci, enfante prodige della letteratura finlandese di origine kosovara (ramo albanese), ha scritto nel 2016 Le transizioni.

Il protagonista Bujar è in cerca di una forma per la sua identità frammentata di albanese devastato dalle miserie e dalle infimità della patria. Il suo viaggio per il mondo tocca Roma, Madrid, New York, Helsinki, luoghi in cui Bujar smette di essere un uomo albanese per riscrivere ogni volta la sua storia e la sua sessualità: un italiano gay in Finlandia, un etero con fidanzata amorevole a Madrid, un trans che partecipa ad un concorso musicale. A nessuno importa più di tanto la storia dell’altro, nazionalità e sessualità sono dettagli personali solo strumentali per intavolare relazioni basate sulla falsità e sulla menzogna. I sentimenti invece sono autentici, come reale è la profonda sofferenza psichica dell’umanità che incontra Bujar: lui sembra in cerca di consolazione ma si trova a fronteggiare depressioni più grandi dell’Adriatico.

Punto di partenza e immancabile punto di arrivo l’Albania, il luogo dell’infanzia (in)felice, custode di un’identità basata sui miti narrati dal del padre del protagonista.

Luigi Cancrini – L’oceano borderline

Letture impegnative nonché interessanti. Per ora presentiamo l’introduzione editoriale in seconda di copertina.

La parola borderline ha un uso sempre più vasto: tra i professionisti della salute mentale e nel parlare comune della gente. Secondo Luigi Cancrini ciò è dovuto al fatto che lo spazio occupato dalle situazioni di sofferenza legate a un funzionamento borderline della mente è molto più ampio (l’oceano) di quelli occupati dalle nevrosi e dalle psicosi (i continenti che dall’oceano sono separati). Il libro discute inizialmente i diversi significati che al termine borderline sono stati dati nel tempo sottolineando la necessità di legarlo a una modalità ben definita di funzionamento della mente: cui tutti abbiamo accesso (seppure in misura diversa) e che deve essere considerata sempre reversibile (mai, dunque, strutturale). Basandosi su un’ampia esperienza personale, il lavoro dell’autore si concentra successivamente sulle situazioni in cui la regressione a questo livello di funzionamento della mente si verifica in modo più chiaro e più drammatico: nell’infanzia dei bambini a rischio e nella vita infelice o sbagliata di quelli che a questo rischio soccombono. Proponendo quelli che sono, nell’intenzione dell’autore, dei veri e propri racconti di viaggio. Del tipo di quelli fatti un tempo da Marco Polo e da Ferdinando Magellano: senza pretesa di completezza, dunque, ma capaci di fornire osservazioni utili a chi vuole iniziare una mappatura di luoghi ancora poco conosciuti e un minimo di orientamento a chi quegli stessi luoghi vuole esplorare dopo di lui.

Jean Charles de la Roi – Il viaggio addosso

Girando per gli scaffali di una libreria mi è capitato tra le mani questo volume. Siamo in estate, mi piacerebbe una lettura leggera, narrante viaggi e avventure. Leggo la prefazione di Edoardo Winspeare e l’introduzione editoriale in seconda di copertina (riportata dopo questa recensione) e penso che questo libro faccia al mio caso. Non so ancora che ho in mano un manoscritto portentoso.

lnizio la lettura: sul Lecce-Stuttgart mi faccio prendere dalle avventure picaresche del protagonista, dalle sue esperienze, dall’entusiasmo di partire dal Salento con ardore e con le immancabili masserizie verso la conquista del mondo, passando per Rimini, San Gallo, Venezia, Milano.

Apprezzo le descrizioni dei fatti, le riflessioni introspettive, le citazioni alte e l’orgoglio non solo entusiastico ma documentato verso l’importante cultura locale. Il dialetto salentino, riportato in corsivo e tradotto tra parentesi, è presente, senza essere invadente, soprattutto nelle prime pagine del libro; non è un vezzo da scrittore della domenica.

Apprezzo meno le scene di sesso, il protagonista conquista una donna ogni cinque minuti, campione di erotismo, nessuna gli può resistere. Un misto di invidia e acredine mi portano ad aumentare il ritmo di lettura. Mi rivedo nel protagonista (non nelle sue conquiste) quando parla di viaggi, vita da fuori sede all’università, occupazioni, orgoglio sulle origini, portabandiera del paesino nel mondo, brocche di vino e sigarette.

Insomma, un libro abbastanza facile per l’estate (con i miei ritmi di lettura, per un paio di giorni d’estate). E invece no. Dopo la prima parte il libro vira dal diaristico all’ucronico, la realtà si mischia all’immaginato. I diari scritti dall’autore perdono senso e significato, gli eventi finora narrati non sono più nitidi e netti, diventano i riflessi di un caleidoscopio, la linea del tempo come un disegno di Escher.

L’espediente letterario (si spera che sia stato solo un espediente) di un grave incidente lascia il protagonista Jean Charles senza memoria, tutto quello che è stato narrato fino a quel momento viene messo in dubbio dall’autore stesso. A fatica Jean Charles torna sulle orme del suo passato alla ricerca di una verità, di una vita persa sull’asfalto insieme al suo amico Gennaro. I personaggi descritti e vissuti nella prima parte, così determinanti nella vita di Jean Charles, mostrano una nuova identità e narrano verità alternative, il protagonista è il suo doppelganger. Non vi è più una sequenza ordinata di fatti ed esperienze, la luce viene fatta passare da un prisma diventando sfumata, ambigua, eterea. Non vi è criogenesi come nel film Vanilla Sky (o nell’originale Abres los ojos), rimane però l’incubo lucido di Jean Charles fino allo sconcertante epilogo.

Dalla seconda di copertina.

“La storia di Giancarlo inizia sul Lecce-Stuttgart, treno che conduce le vite e le speranze di tanti lungo lo stivale. Una deviazione verso Venezia convince Gian a iniziare lì il suo percorso universitario e la sua emigrazione moderna. Sebbene tutto intorno a lui contribuisca a recidere in modo silente le sue radici, il giovane conserva intatto il desiderio di ritornare nel suo piccolo paese condividendo il suo sogno con i nuovi compagni che, tempestati dai suoi racconti, immaginano anch’essi di visitare, un giorno, l’utopica terra salentina. Gian esplora corpi, sogna viaggi, s’ingozza di saperi, ama e odia, cresce e si confronta in un ambiente molto diverso da quello contadino a cui era abituato. Un evento inatteso lo costringe a rivedere i progetti iniziali e tentare di riscrivere le pagine della sua vita. L’azzurro del mare e il rosso della sua terra sembrano sbiadire e non essere più la meta ambita del suo viaggio di ritorno. Ora Giancarlo, per alcuni Jean, per altri Gian ma anche Jahn, si affida ai diari, alle fotografie, alle confessioni delle donne che lo hanno amato. Il viaggio alla ricerca di se stesso inizia…

Julio Cortazar – Disincontri

A voi piace la letteratura argentina?

In questa serie di racconti Julio Cortazar ci presenta la sua realtà onirica, il vero e l’immaginato si confondono. Per avere un assaggio della peculiare letteratura del paese sudamericano. Non ho una robusta preparazione né esperienza da lettore degli autori argentini del ‘900; celebrati e amati nel mondo ma non sempre di facilissima fruizione per il lettore europeo.

Chiaramente il libro ha il suo elevato valore stilistico e narrativo, con un filo conduttore di tristezza e decadenza proprio della produzione intellettuale del subcontinente americano nello scorso secolo. Ottima lettura per approcciarsi al mondo e alle tematiche del contesto di riferimento. Sempre impeccabile la veste editoriale Sur.

Buona estate!

Adolfo Bioy Casares – L’invenzione di Morel

Più che del libro di Bioy Casares, recensito e celebrato da decenni e ispiratore di una delle prime serie TV di grande successo, Lost, sarebbe conveniente parlare della casa editrice Sur. I suoi prodotti sono ben confezionati, accattivanti nel formato e nella veste grafico-cromatica, e la linea editoriale è chiara e stimolante per il lettore a caccia di letteratura (nord e sud)americana di qualità.

Le collane BigSur (letteratura angloamericana), Sur (un canone di letteratura latinoamericana secondo le intenzioni dell’editore), LittleSur (tascabili economici) sono ben organizzate e offrono numerose proposte di lettura per intraprendere viaggi verso mete esotiche, meraviglie naturali e foreste urbane.

Il sito internet della casa editrice è molto curato e comprende un blog aggiornato che presenta ed accompagna i libri del catalogo.

Stay Reader Stay Sur!

Recensione Heat 2 (1988 – 2000) – Mann/Gardiner

L’attesissimo primo romanzo di Michael Mann, con la scrittrice Meg Gardiner, è un regalo per i cultori del regista statunitense e del suo film più iconico: Heat.

La pellicola è un simbolo degli anni 90, e non solo per aver portato per la prima volta nella stessa inquadratura Al Pacino e Robert de Niro (simbolicamente e apparentemente opposti nei ruoli di poliziotto e bandito), rimasta nella memoria collettiva a testimoniare un mondo predigitale oggi ormai scomparso.

Heat è il simbolo del cinema ben fatto, custode di un’arte colossale e artigianale allo stesso tempo, magistralmente interpretato da tutti gli attori e senza buchi nella sceneggiatura, ammaliante nella fotografia, il manifesto estetico degli anni 90 firmato Michael Mann (la casa senza mobili di McAuley a Malibu, il treno che arriva in stazione a Los Angeles di notte, la sparatoria sulla pista di atterraggio dell’aeroporto).

L’immortalità dei personaggi disegnati da Mann, che durante la preparazione del film ha scritto delle schede biografiche dettagliate per ogni personaggio, richiedeva e presagiva un seguito all’uccisione di McAuley, ai tormenti di Hanna e alla fuga di Chris. Come sono andate avanti le vite dei protagonisti superstiti dopo l’epilogo del film? Se lo sono chiesti gli spettatori ed evidentemente se lo è chiesto anche l’unico autore attendibile che avrebbe potuto rispondere, Michael Mann. Il libro non segue una linea del tempo progressiva ma descrive eventi prima e dopo gli eventi visualizzati nelle ultime scene del film. Mann e Gardiner sviluppano all’interno del romanzo filoni narrativi diversi per cronologia e ambientazione, e in perfetto stile cinematografico convergono in un unico punto risolutore finale. Il valore letterario di Heat 2 (1988-2000) non sta solo e semplicemente nella trama e nelle evoluzioni di vecchi e nuovi personaggi, quanto nelle lunghe e precise pagine che raccontano l’azione (come fossero infiniti piani sequenza cinematografici), e nel continuo e quasi ossessivo richiamo alla descrizione cromatica della luce degli ambienti presentati (Los Angeles, Ciudad del Este, Yuma, Singapore).

Venticinque anni di attesa sono un soffio per chi ha pazienza. E probabilmente ne aspetteremo qualcun altro prima che lo stesso regista riprenda la macchina da presa per regalarci la versione visuale di questo suo intenso romanzo.

Di seguito la presentazione tratta dalla seconda di copertina.

E’ trascorso un giorno dalla fine di Heat – La sfida. Chris Shiherlis, ferito e febbricitante, si è nascosto a Koreatown e sta cercando disperatamente di fuggire da Los Angeles. A dargli la caccia è il detective Vincent Hanna. Qualche ora prima Hanna ha ucciso il suo complice Neil Mc-Cauley in uno scontro a fuoco sulla pista dell’aeroporto, e ora è deciso a eliminare anche lui, ultimo sopravvissuto della banda, prima che si volatilizzi. Nel 1988, sette anni prima, McCauley, Shiherlis e la loro banda di rapinatori professionisti hanno messo a segno una serie di colpi nella West Coast, al confine con il Messico e poi a Chicago. Audaci e motivati, si sono arricchiti e vivono intensamente. E proprio a Chicago il detective della Omicidi Vincent Hanna – un uomo che non è mai venuto a patti con il proprio passato – sta seguendo la sua vocazione: inseguire criminali armati e pericolosi fi no nei luoghi più oscuri e selvaggi, e dare la caccia a una banda di scassinatori ultraviolenti. Nel frattempo, le conseguenze delle rapine di McCauley e l’inseguimento di Hanna mettono in moto una serie di eventi inaspettati che si dipanano in una narrazione parallela attraverso gli anni che seguono Heat. Heat 2 proietta i personaggi vividi e credibili del film in mondi completamente nuovi, dal sancta sanctorum di un cartello della droga in Sudamerica, fino alle organizzazioni criminali transnazionali del Sudest asiatico, coinvolgendo il lettore nelle loro vite mentre affrontano nuovi avversari in circostanze estreme e letali

George Langelaan – Regressione

C’è un vecchio che sta morendo. Medici e infermieri, in camice bianco, si danno da fare intorno al suo letto. Su un vassoio di metallo tintinnano degli strumenti. Gli viene infilata una siringa nel braccio. Le voci soffocate, intorno a lui, sembrano quelle che sentiva da bambino, quando si addormentava tra le braccia della mamma. Gli ficcano un tubo in gola. Un rumore metallico, poi lo spingono, su una barella, in un lungo corridoio, stretto e buio. Molto in alto al di sopra di lui brilla una luce. Essendo steso, può vederla bene. Sente una voce, la voce del suo primogenito: «È ancora cosciente?». «In realtà no. È già lontano, molto lontano, sa…». Il corridoio è diventato ancora più stretto, la luce sopra di lui ancora più lontana. Poi le voci si spengono. A un tratto si rende conto che non vede più niente, non sente più niente, non prova più niente. È buio. Arriverà qualcuno? Qualcuno riaccenderà la luce? C’è ancora qualcuno accanto a lui? Sono sempre intorno a lui, i suoi figli e gli altri, a osservare la sua faccia cerea e a chiedersi se dietro quella faccia, molto lontano, irraggiungibile, sussista un barlume di coscienza? Tenta di alzare una palpebra, non ci riesce. Di gridare, ma non sente la propria voce. Chi lo sentirà se lui stesso non può sentirsi? È in coma? O invece è morto? Quello che gli sta accadendo non è semplicemente la morte? Ci ha appena pensato che già sa la risposta: è proprio così. È la morte. «Sono morto». Ma se può ancora pensare di essere morto, significa che il suo cervello funziona ancora, che il suo sangue continua a irrorarlo, che il suo cuore non ha smesso di battere. Gli viene l’idea che la parte di lui che è rimasta cosciente, che può dire «sono morto», che può dire «io», è la sua anima, è la parte di lui che non può morire. Lo hanno già seppellito? Non prova nessuna sensazione, non c’è modo di saperlo. Né di situarsi nello spazio, né di misurare il tempo. È spaventoso. E la cosa più spaventosa è essere ancora cosciente. Se solo potesse perdere coscienza! Se solo potesse spegnersi tutto. Se solo potesse almeno dormire. Dormire, sognare forse… Per addormentarsi cerca di contare le pecore. Con calma, senza fretta, più pecore di quante ne potrà mai contenere l’Australia. Conta, conta, conta, e arriva il momento in cui si accorge di essere arrivato a 998 milioni di pecore. 998 milioni di pecore che ha visualizzato e che ha contato una per una, che ha guardato una per una saltare lo steccato in un prato inondato di sole. Se si conta una pecora al secondo, il che sembra ragionevole, sono 60 pecore al minuto, 3600 all’ora, 86.400 pecore al giorno, il che significa che un milione di pecore corrispondono circa a dodici giorni e con quasi un miliardo si arriva a 12.000 giorni, vale a dire circa trent’anni. Era convinto che fosse passata mezz’ora e invece è da trent’anni che sta contando le pecore. Cazzo. È chiaro, se non vuole impazzire, deve smettere di contare le pecore e trovare un’altra occupazione. Ma quale? Rivivere tutta la sua vita? Dedicare l’eternità a un’eterna autobiografia? Avrebbe tutto il tempo di entrare nei particolari: potrebbe impiegare un secolo per raccontarsi una colazione di un quarto d’ora. O invece ripetere all’infinito un mantra, come fanno i mistici? Concentrarsi su problemi di scacchi? Rifare mentalmente la forma di tai chi, avendo davanti a sé tutto il tempo di diventare un grande maestro? Ricordare i letti in cui ha dormito, i vestiti che ha indossato, le case in cui ha vissuto, il contenuto di ogni cassetto di tutte le case in cui ha vissuto? Rievocare tutte le volte che ha fatto l’amore? E con chi, e in quali posizioni? Passare l’eternità a masturbarsi senza sesso, senza corpo, senza sensazioni? Strana cosa, essere morto e non perdere la coscienza di se stesso. Prigioniero della prigione più perfetta: quando si è solo coscienza, non si può scavare un tunnel per evadere. Quello che invece è possibile, quando si è solo coscienza, è immaginare di scavarlo, il tunnel. Allora si dà da fare. Decide di costruire, da solo, mentalmente, dal fondo della sua tomba, se come crede è stato seppellito, un ponte sopra la Manica che collegherà la Francia e l’Inghilterra. Innanzitutto elabora un progetto. Poi inizia a costruire, e poi si accorge che non funziona, e ricomincia daccapo perché si è dimenticato di tener conto delle maree. Non salta nessun passaggio, se per eseguire un certo lavoro servono dieci persone, lui sarà di volta in volta ciascuna di loro. È il palombaro a cui si stacca il tubo dell’ossigeno e il sub che salva il palombaro dall’annegamento. È tutti, è dappertutto, ha tutto il tempo. In meno di qualche millennio il ponte è terminato. È più produttivo che contare miliardi di miliardi di pecore, più soddisfacente. Così, si lancia nella costruzione di una nuova città, più grande di Brasilia. Realizza ogni singolo edificio, ogni blocco di cemento, ogni maniglia di porta, ogni interruttore, il circuito elettrico che aziona ciascun interruttore: non manca niente e, anche se esiste solo nella sua mente, funziona tutto. Perché, allora, non mirare ancora più in alto? Perché non creare la vita? Ma come si fa a creare la vita? C’è un unico modo: creare una cellula. Sebbene di embriologia ne sappia ancora meno che di architettura, non può delegare niente a immaginari assistenti, deve fare tutto da solo. Sa soltanto che una cellula, dividendosi, forma altre due cellule, che a loro volta si dividono finché non formano un insieme abbastanza grande da poter essere osservato al microscopio. Ma mica è facile trasformarsi in una cellula quando quello a cui si è ridotti, quello che ancora si può chiamare sé, è infinitamente più piccolo e immateriale di una cellula. Per aumentare di un miliardo di volte bisogna concentrarsi. Allora si concentra. Convoglia tutta la sua coscienza in un unico punto che a poco a poco comincia a ingrandirsi e diventa una cellula, si divide in altre due, che si dividono a loro volta, finché questo insieme di cellule non diventa una specie di corpo rudimentale, capace di muoversi in uno spazio e provare sensazioni. Sente quello che deve sentire un astronauta quando, dopo un lungo viaggio interstellare, tocca terra. Tocca terra. Atterra. Non ha preso fuoco, non è morto, è felice. Non ha una bocca per ridere e gridare di gioia, non ancora. E a un tratto, invece, si rende conto che ne ha una – un’apertura, una fessura che diventerà una bocca con dei denti e una lingua. La sua coscienza ormai risiede in un cervello, fatto di cellule e collegato a una massa ancora informe, una specie di sacco che ben presto avrà delle membra, degli organi, un sesso, un buco del culo, e tutto questo sarà lui. Ora può addormentarsi. E infatti dorme, un sonno perfetto e felice. Non c’è niente di meglio di questo sonno, niente di meglio che essere immerso nel dolce calore delle acque amniotiche. È un embrione, ben presto sarà un corpo che scrupolosamente continuerà a diversificarsi e a crescere. Il corpo di chi, di cosa? Non lo sa ancora, ma poco importa: quale che sia, vivrà la vita che gli è data. Se è destino che esca dalla matrice sotto forma di formica, nessun problema, sarà una formica, qualsiasi vita andrà bene. Non ha la minima voglia di uscire dal samsara, tutto quello che vuole è essere di nuovo vivo. Ma è fortunato: è un feto, ben presto sarà un cucciolo di uomo, che già comincia a scalciare. Arriva il momento terrificante in cui l’ambiente caldo e liquido in cui sonnecchiava placidamente si svuota di colpo: è come essere in un sottomarino che affonda. Finisce sott’acqua ma non annega. Imbocca un tunnel buio, caldo e appiccicoso. Non riesce a respirare: non c’è da stupirsi se molte persone rivivono questo momento nei loro incubi. Sente dei rumori, delle voci. I rumori, le voci che mentre moriva diventavano sempre più fioche, ora sono sempre più vicine. O meglio, è lui che è sempre più vicino a loro. Il tunnel diventa uno scivolo, e lui scivola. Una luce abbagliante lo acceca. È l’uscita. Sua madre spinge, sua madre grida. È arrivato. Ora è lui a gridare. La sua vita comincia.

Emmanuel Carrère – Yoga

Carrère si conferma penna sublime (o la penna sublime è quella delle traduttrici Lorenza Di Lella e Francesca Scala?), nel descrivere situazioni ed emozioni. Il tratto è disincantato e i toni schietti e sempre delicati ma il libro è a tratti deprimente nei contenuti e nel vissuto. Intimo, ma depressivo. Profondo, forse troppo, in alcuni capitoli i contenuti sono il contrario di quello che ci si potrebbe aspettare leggendo il titolo.

Il punto di partenza è la descrizione della lunga esperienza di Carrère nella meditazione, e del ritiro spirituale che compie in una località isolata della Francia in compagnia di sconosciuti adepti; gli attentati a Charlie Hebdo e il ritorno a Parigi; la depressione ed una cura psichiatrica dolorosa e invasiva. Infine Carrère narra la sua esperienza come insegnante in una scuola per migranti su un’isola greca.

L’autore, considerato un candidato forte al prossimo premio Nobel per la Letteratura, si svela al lettore come mai aveva fatto in precedenza. Lui stesso è l’oggetto del racconto, la complessità di un uomo che vive i suoi successi ed i suoi tormenti in maniera profonda e dolorosa.

Jonathan Bazzi – Febbre

Un libro a cui certamente non manca la sincerità. Una metafora abusata direbbe che che “il romanzo di Bazzi è un pugno nello stomaco”, invece è molto più forte e spossante leggere questo libro. Non solo per la narrazione della sieropositività dell’autore, che esordisce come da titolo con una “febbre” persistente e fastidiosa, ma soprattutto per il (mal)vissuto dell’estrema periferia sud milanese all’interno di un appartamentino pieno di promiscuità relazionale-famigliare, confusione tra generazioni, separazioni, violenze fisiche e maltrattamenti psicologici mastodontici. Per farsi del male, ma anche per voler bene a Bazzi, per adottarlo idealmente e proteggerlo da situazioni dolorose che nessuno merita di vivere. Sullo sfondo del racconto si intravede una Rozzano più grigia che nera, una periferia dell’anima lontana dalle luci e dalla ricchezza di Milano, presentata come un’arido accrocco di vite.

Finalista al Premio Strega 2020

Autore: Jonathan Bazzi

Editore: Fandango Libri

Anno edizione: 2019

In commercio dal: 9 maggio 2019

Pagine: 328

Recensione Don’t look up

+++Attenzione Spoiler+++

Il primo messaggio che arriva è il ritratto caricaturale e macchiettistico della Casa Bianca, dipinta come un luogo di inetti incapaci. Nessuna menzione, ovviamente, sull’apparato preposto a prendere le decisioni delicate ed impopolari. Nella realtà il presidente è un frontman, nel film una donna (imbecille) sola al comando.

A tratti il film rappresenta bene la polarizzazione social del dibattito e la superficialità della televisione. Anche qui però manca la voglia di andare a fondo. L’onestà del film sta nel far passare il messaggio che i social sono scatole vuote piene di rumore di fondo che nessuno ascolta, sono un cortocircuito autoimmune e totalmente ininfluente.

Aspetto complicato il dibattito scientifico sulla cometa che si abbatterà sulla Terra: gli scienziati vengono prima non creduti, poi comprati ed infine scaricati. Interessante la figura del magnate tecnologico, verosimilmente la caricatura di Bill Gates, ma anche qui il film omette che lui è solo una pedina nelle mani di chi prende le decisioni (ma il Deep state esiste o è un complotto?). In realtà queste élite si intravedono in coda al film nella nave spaziale che salva una parte, selezionatissima, della specie umana poco prima dell’impatto della cometa.

In definitiva è un film piacevole ma volutamente confuso e mistificatore, che vuole continuare a parlare alla pancia della massa già di per sé confusa e in cerca di un pastore che la guidi.

Caro Nanni, adesso basta con le farse

Il ritorno in sala di Nanni Moretti con Il sol dell’avvenire conferma l’ineluttabile declino del regista romano. La promessa di un film di nuovo pienamente morettiano, con richiami ai suoi lavori rimasti nell’immaginario collettivo come Caro Diario e Aprile, non viene tradita e la pellicola potrà essere apprezzata dai fan più nostalgici.

Chi delude davvero è proprio lui, Nanni Moretti, regista e attore protagonista di un film pieno di autocitazioni e di autoreferenzialità. Se trent’anni fa Caro Diario regalava momenti di ilarità e di riflessione (l’omaggio al luogo dell’uccisione di Pasolini ad Ostia), oggi Il sol dell’avvenire ci consegna un uomo che da “splendido quarantenne” è diventato “orribile settantenne”. Orribile non solo nell’inesorabile trasformazione fisica a cui tutti siamo condannati: il naso ormai una protuberanza priva di grazia, la barba rada e bianca, gli occhi sgranati che da furbi diventano inquisitori, il fisico da magro a magro con la pancia. La bruttezza del film non è lì, ma nella ricerca a tutti i costi della simpatia, del guizzo, del ricordo di un’epoca ormai andata via per sempre.

Il mondo di allora è sparito, rimane Moretti con nuove e vecchie idiosincrasie, ma non regala più sorrisi agli spettatori, solo tristezza e stanchezza: le canzoni cantate in gruppo, la troupe del film nel film che balla Voglio vederti danzare di Battiato, l’odio per i sabot e l’amore per il gelato.

La trama del film è solo contorno, così come i pur bravi Silvio Orlando, Margherita Buy, Barbora Bobulova, gregari per quello che si spera non sia il testamento cinematografico e personale di Moretti, dei suoi fallimenti come marito, come padre e come regista. Anche perchè non se ne sentiva il bisogno.

Champions League: Il viaggio del Milan a Napoli

Nel calcio non vince sempre chi gioca meglio, altrimenti ieri la partita del Maradona sarebbe finita 7 a 1 per il Napoli. Invece ne è uscito un pareggio, tra l’altro pescato in extremis da Osimhen, che vale come una vittoria per il Milan che guadagna le semifinali di Champions League.

Sia chiaro, i rossoneri non hanno rubato nulla, hanno giocato in maniera organizzata e dignitosa, presentando una difesa (semi)ermetica ed un muro di protezione davanti ad essa. Dietro la difesa, c’era un fuoriclasse: Mike Maignan. Il Denzel Washington dei pali, un elemento in grado di fare la differenza per la sua squadra, e non solo per parate più o meno spettacolari; l’atteggiamento, la sicurezza, il gioco coi piedi e la visione di gioco (di un portiere!) probabilmente lo rendono il numero 1 al mondo nel suo ruolo.

Il Milan ha proposto un gioco all’italiana, non è una parolaccia, tipo l’Inter di Mourinho nel 2010 a Barcellona nella partita della (quasi) remuntada blaugrana, o tipo l’Italia di Mancini nell’estate 2021 contro la Spagna nella semifinale degli Europei; tornando ancora più indietro nel tempo, anche l’Italia del vate Sacchi nella finale di USA94 eresse un muro (una volta non si diceva pullman) contro gli attacchi del Brasile che resistette per 120 minuti.

Il Napoli, generoso come è generosa la città, ha invece offerto al pubblico locale ed internazionale una lezione estetica di calcio, soprattutto nel primo tempo quando le energie erano ancora abbondanti. Gli azzurri hanno attaccato con palleggio e verticalità, mostrando un’identità di gioco moderna e funzionale. Perchè hanno perso allora? Semplice, se non fai gol tutto quello che produci perde significato. Osimhen è stato ingabbiato dai 5 centrali milanisti (Kjaer, Tomori, Bennacer, Krunic, Tonali), Kvaratskhelia ha avuto una mira non da cecchino, l’irrisolto Politano si è infortunato quando stava provando a risolversi.

Durante i 90 minuti si è avvertita la netta sensazione che il Napoli per segnare avrebbe dovuto usare le mani, ed infatti il gol è arrivato nell’ultimo dei 6 minuti di recupero. Da segnalare l’incredibile non assegnazione del rigore per la falciata di Leao a Lozano nel primo tempo; non avrebbe cambiato nulla, ma c’è da chiedersi dove sta andando il calcio se un fallo del genere non viene ravvisato neanche in sala moviola. Davvero fuori dal mondo, ormai le interpretazioni superano il buon senso: quello è un rigore anche al campetto dei bambini che giocano sotto casa.

Pagelle (calcistiche, non fantacalcistiche e non legate al risultato)

Meret 6,5 Fa due bellissime parate su Giroud ma appare sempre un po’ timido ed insicuro

Di Lorenzo 8 Attaccante aggiunto, un po’ falloso ma notevole per generosità ed interpretazione del ruolo

Mario Rui 7 Sinistro vellutato e personalità da pirata portoghese. Quando entra Olivera la fascia sinistra sparisce

I due centrali azzurri 6,5 Juan Jesus regge bene

Il centrocampo 6,5 In particolare Ndombele colpisce per tecnica e fisico. Perde la palla che porta al gol, vero, ma la perde a 80 metri dalla sua porta

Politano 6 L’irrisolto che prova a risolversi ma si infortuna

Osimhen 6 Non la tocca mai ma segna…

Kvara 7 Nel primo tempo è un satanasso, nel secondo cala, sbaglia il rigore ed un altro paio di occasioni ma rimane un portento calcistico

Spalletti 8 – Se (lui) tiene mentalmente il Napoli potrà salire ancor di più di livello

Maignan 8 Un vero fuoriclasse

Calabria 6 Nella parte iniziale del primo tempo fa tenerezza, sembra un pupazzo di pezza preso a sberle da Kvara. Ma con forza, tigna, abnegazione, cazzimma, riesce clamorosamente a contenere il georgiano e a portare a casa la pagnotta

I due centrali rossoneri 8 Osimhen non la tocca quasi mai

I tre centrali di centrocampo 6 Voto basso perchè non si vedono mai, ma probabilmente si sentono. Muro davanti alla difesa

Theo 6 Soffre meno di Calabria ma spinge poco

Diaz 5 Ha giocato?

Leao 8 L’azione del gol è un gesto atletico e tecnico di sfacciata superiorità. Inoltre quando è in campo ha sempre il sorriso sul volto. Uno spot per il calcio

Giroud 7 Sbaglia il rigore e in movimento davanti a Meret ma è un calciatore pesante

Pioli 8 Con una squadra dal tasso tecnico modesto per il livello della Champions ottiene risultati e belle figure. Appare anche come una persona umile ma preparata

Wu Ming – Previsioni del tempo

Per avvicinarsi al collettivo di scrittura bolognese Wu Ming, interprete lucido del nostro tempo e dei nostri luoghi. Un racconto del 2008 dedicato agli affari delle ecomafie, le pratiche “artigianali” di smaltimento ideate a Napoli ed esportate in territorio nazionale ed internazionale. Un romanzo sulla strada ambientato tra Caserta e l’Appenino tosco-emiliano, una scrittura dal grande valore linguistico e narrativo.

David Benioff – La città dei ladri

L’assedio di Leningrado (Piter per gli autoctoni) nell’inverno del 1941 visto con gli occhi di Lev, diciassettenne troppo giovane per l’esercito e troppo cresciuto per vivere la guerra come un gioco. Non è sufficiente guardarsi dai bombardamenti nazisti, chi viola il coprifuoco viene fucilato seduta stante dall’esercito sovietico.

Lev incontra in una squallida prigione Kolja, cosacco disertore, e ne nasce un rapporto Pigmalione sgangherato e divertente che sarà il tema parallelo a quello della guerra.

Lev e Kolja o l’ottimismo. David Benioff, già autore del bellissimo “La 25ma ora” (e da cui Spyke Lee girerà l’omonimo film con Edward Norton), ripropone nel suo fortunato e piacevole romanzo lo schema narrativo di Voltaire in “Candido”.

Miserie inenarrabili, inconcepibili per le generazioni nate nell’Europa occidentale dagli anni 50 in poi, e situazioni in equilibrio tra la vita e la morte. Il “generale Inverno” considerato il più grande alleato dell’esercito sovietico è un ufficiale molto severo anche per i russi di Piter.

Un po’ romanzo di formazione, un po’ romanzo sulla strada, “La città dei ladri” regala pagine intense e divertenti, portandoci tra le follie della Seconda Guerra mondiale dove i rapporti umani (l’amicizia, l’amore, il sesso) emergono come l’unica possibile ancora di salvezza per la sopravvivenza mentale e fisica.

Veronica Raimo – Niente di vero

La storia che racconta Veronica Raimo è quella di una disadattata che affronta la vita tra cinismo ed emotività: un romanzo di formazione dall’infanzia all’età adulta (non della maturità). L’autrice racconta in prima persona eventi probabilmente ispirati alla sua vita, partendo dall’immancabile rapporto con la famiglia: la madre ansiosa ed invadente che la cerca in ogni momento topico ma senza mai davvero fregarsene dello stato psico-fisico della figlia, troppo preoccupata dalle sue paturnie; il padre collerico ed ipocondriaco che la costringe a riti propiziatori per scongiurare malattie potenziali (bagni di alcol e mummificazioni con lo Scottex); il fratello maggiore capace di sintonizzarsi perlomeno con sé stesso, il porto insicuro in cui Veronica prova a rifugiarsi durante le continue tempeste. C’è posto anche per i disagi arrecati dai nonni e dalle zie della provincia foggiana.

Le vicende raccontate dall’autrice hanno inizialmente un tono caustico ma leggero, per poi diventare vagamente cupi nella seconda parte del libro dove i problemi affrontati (o evitati?) ci rendono l’immagine fragile della protagonista. L’ironia e l’autoironia, di cui per fortuna il libro abbonda (a differenza del suo collega di casa editrice e di Premio Strega) diventano strumenti insufficienti per metabolizzare le tragedie raccontate.

Immancabili le fughe a Berlino, tipiche per gli intellettuali e gli artisti nati negli anni 70 (vedi ancora Desiati).

Viene da chiedersi se Veronica Raimo, così affezionata alla sua ginecologa, abbia mai partecipato a delle sedute di psicoterapia famigliare. Forse gioverebbe alla sua salute psicofisica, magari meno alla sua creatività.

Vialli e (e’) quello che saremmo voluti diventare

La malattia e la morte di Gianluca Vialli ci ha commosso e ferito. Oltre il lutto che si riserva per la scomparsa di un personaggio pubblico, e quindi in qualche modo famigliare, con Vialli va via un pezzo di storia di una generazione che va dalla metà degli anni 60 all’inizio degli anni 80.

Vialli ha rappresentato quello che saremmo voluti diventare: belli, intelligenti, ricchi, famosi e vincenti. Un ragazzo che non è mai stato esattamente simpatico, con quell’aria strafottente e insolente, eppure incapace di risultare antipatico con i suoi modi garbati nella forma ma mai banali nei contenuti: un campione naturale nella comunicazione prima che nel campo da calcio.

Fisico armonico, altezza notevole ma non esagerata, muscoli flessuosi ai tempi della Sampdoria poi solidi ed imponenti ai tempi della Juventus; riccioli sbarazzini da ragazzo a Cremona, biondo platino dopo lo scudetto alla Sampdoria, le calvizie ai tempi della Champions con la Juve che diventano un espediente per essere ancora più sexy. Ecco, Gianluca Vialli era bello. Era quello che volevamo e vogliamo essere noi. Anche lo spacco tra gli incisivi superiori a lui donava originalità. Un superitaliano che ha anche trasformato il suo nome da Gianluca a Luca: più pulito, più efficace, più Vialli.

Vialli, nell’epoca d’oro del calcio e del Paese tra gli anni 80 e 90, ha rappresentato il sogno di portare l’Italia in cima al mondo, la risposta italiana a Van Basten. Ma Italia 90 è stata la sua sconfitta sportiva più amara, complici le circostanze che hanno portato il carneade Schillaci a prendere il suo posto. La classe operaia dei quartieri popolari di Palermo contro l’alta borghesia di Cremona. In quei giorni, in un attimo Vialli è passato da simbolo di un movimento calcistico vincente a principale responsabile della disfatta del terzo posto (insieme all’altro leader della Nazionale Walter Zenga).

I primi anni confusi della Juventus del Trap sono stati solo un passaggio verso la definitiva consacrazione internazionale con Lippi e l’alzata della Champions League nel 1996 sotto il cielo di Roma.

Gli ultimi anni hanno trasformato la sua apparenza di superuomo in una normale ed umana paura della malattia, l’apparente immortalità della gioventù sfibrata da una diagnosi implacabile. Il suo sorriso scanzonato ed al di sopra delle mediocrità si è trasformato in una smorfia pensierosa e triste. E’ l’immagine che più ferisce della parabola di Vialli, un campione che non sarà dimenticato.

Peaky Blinders 5-6: Recensione

Spoiler in arrivo

Fin dalla prima stagione siamo dei grandi estimatori della serie TV Peaky Blinders; oggi, con la chiusura dello show proponiamo la recensione della V e VI stagione.

Una serie che ha fatto innamorare spettatori in tutto il mondo ma che ci ha lasciato una grande delusione nel suo epilogo. E per epilogo parliamo delle due stagioni e non dell’ultimo episodio.

Uno dei punti di forza delle stagioni precedenti era sicuramente la scrittura degli episodi e delle stagioni stesse (sei puntate), che ovviamente culminavano nell’ultima puntata, capace di chiudere le trame narrative sviluppate e caricate durante la serie. Questo non ci pare che accada nella V e VI stagione: ci sono tanti buchi nella sceneggiatura, un po’ di apparente superficialità nello stare dietro a tutte le informazioni date nel corso dello spettacolo, personaggi sviluppati in modo grossolano e superficiale (Arthur e la sua tossicodipendenza, la sua riabilitazione miracolosa ma mai definita e raccontata con chiarezza; anche da Finn Shelby ci si sarebbe aspettati maggiore spessore e presenza ma la sua figura rimane comunque in terzo piano), storie e sotto-storie che finiscono in un vicolo cieco (per esempio Oswald Mosley, che irrompe con efficacia nel racconto durante la V stagione ma che pian piano finisce ai margini e ne rimangono solo poche scene macchiettistiche qua e là; o anche Ada, il cui passare da protagonista a comprimaria è questioni di pochi fotogrammi).

Troppi temi, argomenti, trame irrisolte e senza uno sviluppo armonico e definitivo; ed anche colpi di scena clamorosi e senza apparente logica che comunque non arricchiscono di particolari determinanti la storia (la “resurrezione” di Alfie dà gioia e ci fa rivedere Tom Hardy vicino a Cillian Murphy ma lascia perplessi sulla reale necessità di un particolare tanto bizzarro). Tanti altri esempi potrebbero esseri citati, con il risultato di fare spoiler di particolari inutili alla fruizione del racconto.

Ovviamente non ci sono solo aspetti negativi all’interno di uno show che rimarrà comunque nella storia recente della televisione. Assolutamente positivo e di grande spessore il ritratto psicologico e i conflitti interiori di #TommyShelby, la sua evoluzione ed i suoi progetti sempre più megalomani e solitari.

Spettacolari, come sempre, le scenografie e le ambientazioni “gipsy-chic”, e ancor più notevoli e fonte di ispirazione i costumi dei personaggi ed il loro impeccabile stile.

La serie è terminata come annunciato dai produttori, che comunque hanno fatto intendere che ci sarà un film che sarà il vero epilogo dei Peaky Blinders.

Mezzi di comunicazione tradizionali e Social network

Il decennale dibattito su chi sia più influente tra mezzi di comunicazione tradizionali di massa e social network è arrivato ad un punto di svolta dal 2020. Gli eventi hanno portato la popolazione mondiale a chiedere un incremento di informazione seria e qualificata, a fronte di un’offerta di difficile interpretazione e decodifica da parte del grande pubblico.

La pseudo-rivoluzione dei social ha permesso a tutti gli utenti in possesso di uno smartphone e di un account su una o più piattaforme di accedere ad una miniera (non d’oro) di informazioni, testi, video, foto provenienti da ogni angolo del mondo in tempo reale. E, cosa davvero rilevante, di interagire con essi. O meglio, illudersi di interagire. Condividere, commentare, insultare, approvare contenuti e opinioni su temi di interesse globale è solo una sciocca illusione di partecipazione alla vita sociale. Semmai è solo vita social. Che tuttavia prevede una circolarità, uno scambio apparentemente alla pari, dove anche le stupidaggini del professore di turno possono essere messe in discussione da chi fa un mestiere manuale. O viceversa, dopo le opinioni eleganti di un filosofo, uno storico, o uno psicologo vengono banalizzate e irrise da chi è a secco di qualunque forma di coscienza, autocoscienza, nozione culturale o istruzione.

L’utente medio, il cittadino medio, appare comunque indifeso di fronte alla mole di informazioni da processare e dopo l’impeto di partecipazione si ritira confuso nella sua caverna.

Qui entrano in gioco i mezzi di comunicazione tradizionali. Le scelte editoriali, i “servizi”, le idee e le opinioni hanno una sola direzione, da A verso B e non permettono una possibilità di contradditorio immediata, perlomeno non pubblica. Un classico esempio di comunicazione verticale. L’impeto dell’utente-consumatore dura un paio di secondi, ma soccombe di fronte alle continue ripetizioni e suggerimenti da parte dei mezzi di comunicazione di massa tradizionali (TV e giornali). Per questo capita di trovare il parrucchiere ripetere quello che ha sentito in TV sulla guerra in Ucraina, o l’operaio che sistema la tapparella affermare che la mascherina all’aperto sia di vitale importanza per la salute, nonostante autorevoli pareri non riportati sui mezzi tradizionali affermino il contrario o perlomeno ne mettano coscientemente e senza pregiudizi in discussione la portata fideistica.

Per questo essi avranno un’importanza sempre maggiore, a prescindere dal loro fatturato e dagli introiti per mezzo delle inserzioni pubblicitarie. Il potere ed il ruolo delle TV e, in minor parte dei giornali, è quello di indottrinare senza contraddittorio. Il social rimane solo una scatola vuota per sfogarsi, come urlare “Aiuto” in un tunnel senza via d’uscita.

Massimo Fini – La ragione aveva torto?

Un saggio scritto da Massimo Fini nel 1985 e che nelle sue tesi antimoderniste anticipa le problematiche filosofiche e pratiche dei nostri giorni. Il dominio della tecnica, della ricerca e dell’ipotetico progresso sull’umanità e sull’essere umani.

Fini, avvalendosi di studi e citazioni accuratamente riportati nelle sue pagine, dimostra che l’ancien regime pur con le sue ovvie grandi problematiche non era quel periodo tetro fatto solo di fame, sfruttamento, ignoranza, mancanza di diritti basilari.

I capitoli del libro sono tematici e trattano la vita, la morte, l’anima, la fame, la casa, il tempo, l’identità e la felicità, gli analfabeti, l’uguaglianza, la legittimazione, la democrazia e il potere, impostando un paragone implicito tra l’uomo moderno post-illuminismo e quello, appunto, dell’ancien regime.

Un libro che ha quasi 40 anni e che dimostra come il pensiero di Massimo Fini sia stato lungimirante e lucido. Oggi, che il futuro è arrivato, al lettore spetta il giudizio sulle riflessioni esposte dall’autore.

L’orribile pagina di televisione firmata Alfonso Signorini

“Una pagina orribile di televisione”, Alfonso Signorini l’aveva presentata così la puntata del Grande Fratello Vip di Lunedì 3 Ottobre. Ed è stato di parola. Nelle intenzioni del conduttore e dei suoi autori bisognava sistemare la questione Marco Bellavia, il concorrente affetto da disturbi psicologici che aveva abbandonato il programma televisivo in quanto incapace di gestire la sua situazione in diretta televisiva 24 ore al giorno (e come dargli torto?).

Signorini ha condotto una puntata tutta dedicata alla colpevolizzazione e al processo sommario e mediatico (nonostante le continue negazioni in tal senso “non è un processo…ma…”) dei coinquilini di Bellavia, rei di non averlo aiutato e di anzi aver favorito la sua autoesclusione. I filmati mandati in onda, accuratamente selezionati e montati, tenevano fede ad una narrazione preconcetta, dove il branco divorava la pecorella. Tanto che il giornalista Attilio Romita, uno dei pochi inquilini con dimestichezza di giornalismo e di ricostruzioni, ha affermato che un filmato di tre secondi, per quanto oggettivo, non potesse contenere la realtà dei rapporti umani, soprattutto in un caso così complesso.

Niente, il conduttore dai sani principi, amante dei diritti umani e delle questioni nobili ma forse meno degli umani, ha tirato dritto: “il popolo del web è indignato, e anche noi” affermava irritato e marziale.

I personaggi all’interno della casa assistevano mortificati alla colpevolizzazione che stavano subendo in diretta televisiva ed in fascia protetta. “Uno sputtanamento” in piena regola, per citare un film comico degli anni 80.

Indispettito e severo, il conduttore Signorini (con gli autori) ha squalificato Ginevra Lamborghini, colpevole di parole violente e superficiali nei confronti di Bellavia. Qui iniziava la vera “pagina orribile di televisione”. L’ereditiera Lamborghini, resasi conto del suo errore, è entrata in una crisi di pianto struggente, accompagnata da tremiti e singhiozzi, e accompagnata dall’esultanza e dagli insulti irripetibili del branco “popolo del web”. Ginevra entrava in studio palesemente incapace di gestire tanta pressione psicologica e di affrontare Signorini, le sue opinioniste ed il pubblico. Resosi conto dell’ “orribile pagina di televisione” che stava proponendo ai suoi spettatori, al suo editore, alla produzione e agli sponsor, il conduttore provava a mostrarsi più comprensivo verso una ragazza che sicuramente avrà sbagliato ma che in quel momento meritava solo di essere mandata in albergo sotto una doccia calda.

La sua doppia morale, segnalata anche in un interessante articolo su Repubblica, ora pretendeva che “il popolo del web” non si accanisse sulla Lamborghini, dimenticandosi che fino a pochi minuti prima “i provvedimenti” di squalifica erano presi anche in nome della reazione dei commenti “sui social”.

Lungi da me difendere i concorrenti della casa del Grande Fratello Vip, che sicuramente avranno commesso gravi errori nella gestione del disagio di Bellavia, usando parole inadeguate. La riflessione è sul “gioco” Grande Fratello, una macchina tritatutto che “affetta” quasi tutti i concorrenti che entrano nella casa. Alfonso Signorini vola sempre alto, si dà obiettivi da divulgatore quando vuole trattare disabilità, malattia, disagio psicologico, ma le sue reazioni (e, ripetiamo, dei suoi autori) sono spesso censorie. Il conduttore presta la sua faccia, bella, pulita e indubbiamente progressista e benpensante, ad un programma la cui cifra non è ormai più solo gossipara e leggera, ma giudicante e assolutista su quello che è giusto e quello che è sbagliato, o ancora più precisamente su quello che si può dire e su quello che non si può dire, sorvolando sul fatto che i concorrenti sono comunque filmati 24 ore al giorno e che ogni singola frase potrebbe essere utilizzata per aderire ad una ricostruzione capace di scatenare nel pubblico (finta) indignazione e conseguente gogna mediatica per i malcapitati “morti di fama”.

Mario Desiati – Spatriati

La pagina di Desiati è pulita, linda, candida, perfetta nello stile e nel confezionamento. Ma non (mi) emoziona. Un romanzo di (bi)formazione che parte da Martina Franca e arriva a Berlino, passando per Londra e Milano.

I due protagonisti, Francesco e Claudia, vivono la loro epopea di precari, sentimenti precari, ai margini del fluire liquido dei cicli vitali della provincia italiana e delle metropoli europee. Tanti i temi nobili affrontati dall’autore nel suo romanzo stilisticamente perfetto (o perfettino?): amore, omosessualità, pansessualità, amicizia, lavoro, pizzo, molestie, violenza, tradimenti. Tutti argomenti toccati in modo asettico e poco emotivo, non per stupire nè per scandalizzare. Rappresentano la realtà dei personaggi del libro ma non scatenano mai una vera empatia da parte del lettore (me, in questo caso).

Tuttavia la più grande mancanza di tutto il lavoro di Desiati è la totale mancanza di ironia ed autoironia nel trattare temi così delicati e profondi: la voce narrante di Francesco è sempre stanca, rassegnata, aulica nelle sue citazioni di poeti ai margini del canone, triste e tremendamente seria e seriosa. Anche i momenti più trasgressivi del racconto, e ce ne sono molti, appaiono piatti e aridi. Probabilmente è una scelta stilistica dell’autore, che mantiene il lettore distante e poco partecipe, magari solo voglioso di passare alla pagina successiva per “vedere quello che succede”.

Notevole il lavoro di editing che rende il libro ineccepibile nella forma. Un romanzo irrisolto, come la vita dei protagonisti e di tante persone che vivono non nel mondo della carta e della parola.

Claudio Stassi – Per questo mi chiamo Giovanni

Un viaggio nella pittoresca Palermo, nei luoghi della vita di Giovanni Falcone, attraverso gli occhi di un bambino e di suo padre: l’educazione civica ed al civismo tra le piazze colorate e il mare di Mondello, passando per il tritolo di Capaci e il maxi processo nell’aula bunker.

La graphic novel di Claudio Stassi, tratta dal romanzo di Luigi Garlando, è un prezioso volume per ricordare la vita e la battagli del giudice Falcone, uno strumento capace di arrivare ai più giovani veicolando un messaggio educativo e di valore. Le tavole di Stassi, palermitano che ora vive a Barcellona, sono evocative e piene di colori.

Da leggere tutto d’un fiato e da godersi sotto l’ombrellone.

Noam Chomsky – 11 Settembre dieci anni dopo

Per provare a comprendere la complessità del mondo, delle relazioni internazionali e degli interessi geopolitici ed economici degli Stati, senza scadere nella semplificazione bipolare a buon mercato proposta dai mezzi di informazione di massa. Una narrazione volta a suscitare l’emotività dello spettatore, alla tragedia umanitaria, alle storie delle miserie create dalla barbarie di una guerra atroce come tutti i conflitti armati in giro per il mondo e per i secoli. Eppur ci chiediamo: nella storia recente i bombardamenti occidentali venivano narrati con lo stesso metodo emozionale? O si preferiva esaltare le gesta delle truppe che spazzavano via i nemici e conquistavano città, evitando accuratamente di citare i “danni collaterali” di civili uccisi, mutilati, sfollati?

Il libro è frutto delle interviste rilasciate da Chomsky pochi giorni dopo l’11 Settembre e tuttavia rimangono un riferimento epistemologico fondamentale per analizzare anche il presente e i tragici fatti che avvengono in Ucraina; una prospettiva, quella di Chomsky, che esula dall’essere sostenitori acritici di una fazione (così come è presentato ovunque su giornali, televisioni, carta stampata) e nemici giurati degli aggressori. E viceversa. All’indomani dell’11 Settembre i mass-media italiani ed europei (senza considerare quelli americani) erano a favore degli aggressori, perchè c’era una giusta causa apparente: il terrorismo. Oggi si vedono bandiere dell’Ucraina nelle scuole, nei supermercati, nei programmi per bambini in tv, sui cartelloni pubblicitari lungo le strade: non può esistere una forma di pensiero critico, di riflessione, la manipolazione passa attraverso il messaggio netto e chiarissimo sulla parte per cui dobbiamo necessariamente “tifare”, come se stessimo assistendo ad un film di Hollywood con indiani e cowboy. E senza contare le “sanzioni”, non quelle economiche, di livello psicologico che vengono comminate ad artisti e sportivi russi, puniti solo per la loro cittadinanza (vi ricorda qualcosa?).

Chomsky parla delle invasioni degli Stati Uniti post 11 Settembre, riflettendo sui disastri umanitari prodotti in Afghanistan e Iraq in nome della lotta al terrorismo.

“Un attacco all’Afghanistan ucciderà probabilmente un gran numero di civili innocenti, forse un numero enorme, in un paese in cui milioni di persone stanno già per morire di fame. L’uccisione gratuita di civili innocenti è terrorismo, non guerra al terrorismo”.

Quando a “Madeleine Albright alla TV nazionale, le fecero una domanda sulle stime di mezzo milione di bambini iracheni morti a causa delle sanzioni. La Albright riconobbe che tali conseguenze erano una “dura scelta” per la sua amministrazione ma, disse, “pensiamo che ne valga la pena”.

Non siamo tifosi di nessun schieramento, tantomeno coltiviamo sentimenti antiamericani, un Paese di cui amiamo la letteratura, le città, le persone provenienti da tutto il mondo che la popolano e l’hanno forgiata nel corso dei secoli. Siamo tifosi del libero pensiero, dell’onestà intellettuale, quell’onestà intellettuale che non riesce ad accettare l’orwelliano concetto che si raggiungerà la pace inviando armi in una zona di guerra.

Danilo Pagliaro – La scelta. La mia vita nella Legione Straniera

La vita nella Legione Straniera nei ricordi di Danilo Pagliaro, che compì la scelta di arruolarsi a 37 anni e solo da qualche anno andato in pensione. Dopo il ritiro Pagliaro ha intrapreso un’altra missione, quella di fare chiarezza e pulizia sul nome della Legione.

Il libro, scritto con il giornalista Andrea Sceresini, non segue un ordine cronologico ma è diviso in capitoli tematici dove Pagliaro per sostenere le sue tesi cita decine di episodi ed aneddoti della sua vita sul campo di addestramento e di battaglia. I valori che l’autore vuole a tutti i costi far passare sono quelli della disciplina, del sacrificio, del cameratismo, del rispetto degli ordini, e allo stesso tempo smentire stereotipi da film che vogliono la Legione un luogo privo di legge, dominato dal nonnismo e popolato da mercenari tagliagole senza nessun principio etico.

Non si può parlare di un libro ideologico: Pagliaro è un militare, arruolarsi nella Legione Straniera non significa fare turismo di sopravvivenza o viaggiare in luoghi esotici ma servire un Paese (la Francia) rispettando gli ordini di ufficiali e, in via indiretta, del Ministero della Difesa.

In alcuni passaggi l’autore appare duro nel comunicare il suo messaggio di disciplina e di vita spartana ma come si può dargli torto se critica ironicamente “potenziali” legionari che prima di arruolarsi si accertano che la Legione serva piatti vegani?

Molto interessante anche l’appendice finale del libro in cui Pagliaro risponde alle cento domande frequenti che gli vengono poste da “potenziali” legionari e che fornisce informazioni pratiche e molto utili a chi vorrebbe arruolarsi.

Gianni Mina’ – Politicamente scorretto

Politicamente Scorretto fu pubblicato da Sperling&Kupfer nel 2007 nella collana “Continente Desaparecido” impreziosito dalla prefazione di Luis Sepùlveda: una raccolta di articoli ed interventi di Gianni Minà dal 1996 al 2006. I temi cari all’autore sono presenti nel libro: la Cuba di Fidel Castro e il pantano perenne dell’America Latina, l’imperialismo Yankee, il neoliberismo e l’autodeterminazione dei popoli, il G8 di Genova e l’11 Settembre, la libertà di stampa. Temi popolari nei primi anni del nuovo millennio, al centro del dibattito intellettuale non solo di nicchia, e che oggi sembrano scomparsi sotto una coltre di polvere e confusione fatta di pollici, di cuoricini, di polemiche aspre su canali ciechi e di un’informazione dei mass-media che sembra abbia fatto passi da gigante, ma all’indietro.

Del resto lo stesso Minà per molti anni ha segnalato dell’ostracismo che gli hanno riservato i grandi editori nazionali: non si trattava di un piagnisteo autoreferenziale, ma di una denuncia precisa verso lo scadere del livello di informazione che evidentemente oggi ha raggiunto in maniera plateale e manifesta l’agognato livello di propaganda. Una propaganda ben congegnata, soft, dolce, politicamente corretta e lievemente patinata, e quindi ancor più efficace per la manipolazione della massa (semi)analfabeta.

Un testo di 15 anni fa capace di interpretare, analizzare e raccontare anche il mondo del Covid e della guerra in Ucraina: del resto gli attori protagonisti e i comprimari sono quasi esattamente gli stessi

Hallgrimur Helgason – La nonna a 1000°

Dalla presentazione in seconda di copertina

“Fa bene a tutti perdere la facciata della propria casa, sentire lo stridore dei freni davanti al proprio figlio o vedere sparare alla schiena al proprio innamorato. Ho sempre detestato frequentare gente che non ha mai dovuto scavalcare un cadavere.” A Herra Bjornsson tutto questo è capitato. Ma non solo. Le è capitato anche di baciare il più famoso dei Beatles quando erano solo ignoti scarafaggi appena sbarcati ad Amburgo e di incrociare in una bettola di Parigi lo sguardo libidinoso di Sartre. Le è capitato di attraversare la guerra con un’unica ricchezza, due perle della collana di Casanova, peccato che un soldato tedesco alto e idiota le abbia viste e se le sia mangiate. Ha scaricato più di un uomo con la frase: “E arrivato il taxi”, compreso, ancora in sala parto, il padre del suo primogenito. Ha fatto tre figli con nove uomini, conoscendo le canaglie di mezzo mondo. Nipote titolata del primo presidente d’Islanda, ha attraversato il vecchio continente e si è spinta fino in Sudafrica e in Argentina, ha conosciuto le guerre e si è fatta nuovi amici (e spasimanti) su Facebook. E sopravvissuta ai figli privi di talento e a tutte le terribili nuore. Ma ora, chiusa in un garage nella sua amata Reykjavik, in compagnia di un computer portatile, due stecche di Pall Mall e una bomba a mano di fabbricazione tedesca, è decisa a battere sul tempo la propria malattia. Non senza aver preparato la sua ultima, grandiosa vendetta…

James Frey – L’Ultimo Testamento della Sacra Bibbia

James Frey confeziona un libro dall’enorme potenza dissacrante. Il Messia è tornato, vive a New York tra Brooklyn, Manhattan e i tunnel sotterranei della metropolitana della città insieme a barboni e disperati. Predica e pratica l’amore libero e non riconosce i testi sacri, di nessuna religione. O meglio, li conosce a memoria, tutti, ma li ritiene obsoleti e ingannevoli, l’unica cosa che conta è rispettarsi tra uomini, amarsi, accettarsi.

Frey, dopo la disintossicazione dall’ultimo stadio dell’alcolismo, si cimenta con il messianico. Esercizio complesso, al limite dell’impossibile, con grossi rischi di passare dal mistico al risibile in poche righe. Ma ciò non accade, Frey scrive pagine dense di pathos e di sofferenza alternata a momenti di serenità e di pace. L’architettura narrativa è forse l’aspetto che dona maggiore armonia a tutto il romanzo. I capitoli sono testimonianze dirette delle persone che hanno incontrato il Messia Ben Zion Avrohom: la vicina di casa ispanica quando viveva in un appartamento delle case popolari, il capo della sicurezza mentre lavorava come guardia giurata in un cantiere edile, la dottoressa che l’ha operato per 11 ore dopo un incidente apparentemente senza possibilità di sopravvivenza, l’agente federale che lo interroga dopo un arresto per vagabondaggio e minaccia alla quieta pubblica…

Le testimonianze di questi dodici “apostoli” sono in ordine cronologico e rendono la fruizione della lettura sempre avvincente e appassionante.

Probabilmente non un libro escatologico, ma comunque capace di intrattenere e di far riflettere a fondo anche su tematiche complesse.

Stefano Olivari & Azzurro di Vicini – L’Italia del 90

Il libro definitivo su Italia 90? Forse no. Una generazione, quella nata tra gli anni 70 ed i primi anni 80 ancora ricorda con gioia, entusiasmo e disperazione sportiva l’evento che si svolse in Italia l’estate del 1990.

Le Notti Magiche cantate da Nannini e Bennato ad accompagnare una delle Nazionali più belle, competitive e organizzate di sempre. Gli anni in cui il calcio italiano dominava con il Milan di Sacchi, la Samp di Mantovani e l’Inter dei tre tedeschi ebbe l’occasione di organizzare un Campionato del Mondo in casa. L’entusiasmo dell’Olimpico è ancora negli occhi di quei bambini oggi adulti, i tricolori che ricoprivano l’anello del Foro Italico.

Il libro di Olivari e di un anonimo calciatore che giocò quel Mondiale con la maglia azzurra non si propone di trattare in maniera onnicomprensiva e definitiva il capitolo Italia 90, ma dà un contributo originale e inedito sulle nostre notti quasi magiche. Azzurro di Vicini è il nome in codice di uno dei 22 azzurri della rosa ed il libro è in forma di diario. Ogni giorno, a partire dall’elenco dei convocati del 30 Aprile fino al giorno dopo la finale per il terzo posto di Bari, Azzurro ci propone i suoi ricordi, svelando retroscena gustosi per gli appassionati della materia: le dinamiche nello spogliatoio, il racconto delle partite viste dal campo, Azeglio Vicini ed il suo staff, i dirigenti della Nazionale, le emozioni sul pullman dal ritiro di Marino allo stadio Olimpico.

L’anonimo azzurro potrebbe essere Nicola Berti, dalle pagine traspare lo stile scanzonato e le valutazioni argute del centrocampista all’epoca nerazzurro. Ma non ha importanza, il libro-diario è un tassello fondamentale per rivivere le emozioni e la delusione di quei giorni che non torneranno più!

George Orwell – Christie&Verdier

Un elegante volume che racconta per immagini, parole e citazioni la vita di Eric Blair, in arte George Orwell. Dall’infanzia in Inghilterra agli anni della formazione scolastica che lo portano fino ad Eton, ancora oggi il più esclusivo college d’Albione, fucina della classe dirigente britannica.

Una vita avventurosa quella di Orwell, il suo approccio giornalistico e la sua fame di vita lo conducono a vivere esperienze estreme: nella polizia imperiale Birmana, lavapiatti a Parigi e senzatetto a Londra, soldato del POUM contro Franco durante la Guerra Civile Spagnola, Sergente della Guardia Civile Inglese sotto le bombe naziste nella II Guerra Mondiale.

L’opera di Christie e Verdier riesce a ben bilanciare la vita e le opere dell’autore, mettendo in luce aspetti privati dell’uomo poco diffusi finora al grande pubblico senza trascurare aspetti stilistici della sua celebratissima opera letteraria.

Il talento visionario di Orwell rimane ancora oggi un mistero per i suoi lettori più appassionati: come è stato possibile che un uomo profondamente innamorato della “common decency” del Popolo abbia creato quel capolavoro di distopia ed annullamento di umanità corrispondente a 1984?

Edward Bunker – Little Boy Blue

Le avventure e soprattutto le disavventure del giovane Alex Hammond, irrequieto bambino californiano in cerca di una definizione nell’America degli anni 40 e 50. Senza madre, con un padre impossibilitato a prendersi cura di lui, Alex gira per i riformatori e gli ospedali psichiatrici dedicati ai minori, conoscendo giovani malavitosi ed imparando a farsi rispettare con l’unico linguaggio accettato in quei contesti: la violenza.

Romanzo verboso, pieno di lunghe descrizioni del mondo carcerario e con pochi dialoghi, tuttavia non privo di azioni criminose ed immancabili scazzottate, Little Boy Blue probabilmente non è il libro più riuscito di Edward Bunker ma comunque rimane un volume imprescindibile per avvicinarsi all’epopea di uno scrittore che ha trovato la redenzione attraverso la lettura prima e la scrittura poi.

Bunker è l’autore di altri apprezzati testi noir ambientati nella California del secolo scorso: Educazione di una canaglia (la sua autobiografia), Cane mangia cane, Come una bestia feroce. Bunker è stato uno degli scrittori che meglio ha raccontato la vita nelle prigioni e il sottobosco malavitoso che popolava le strade di Los Angeles: truffatori di poco conto, rapinatori che diventavano assassini e assassini in attesa di essere giustiziati sulla sedia elettrica. Nel suo curriculum anche una partecipazione al film Le iene di Quentin Tarantino nella parte di mister Blue.

George Orwell – Senza un soldo a Parigi e a Londra

Probabilmente l’autore più citato (e meno letto) degli ultimi due anni: il genio visionario capace di immaginare la distopia della società di massa, orde di automi controllati e comandati dal Grande Fratello (un occhio nella TV ieri, uno smartphone oggi?). Il brillante teorizzare della neolingua, di non immediata comprensione per il lettore di 1984 ma dai risvolti pragmatici evidenti finanche nel nostro mondo del 2021 dove il significante “anormale” ormai ha preso il significato di “normale” (e viceversa). Il dissenso non può esistere in quanto nel vocabolario autorizzato dal Ministero della Verità mancano le parole idonee ad esprimerlo. Esiste solo l’Ortodossia, che per Orwell “… vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza son la stessa cosa”.

Di tutto questo NON si parla nel libro d’esordio dello scrittore inglese. “Senza un soldo a Parigi e a Londra” è un romanzo picaresco tra gli scantinati parigini del Quartiere Latino popolati di lavapiatti, scarafaggi e lerciume e i dormitori per senzatetto in una Londra che mantiene qualche goccia di signorilità anche nella miseria, nella povertà, nel freddo e nella pioggia.

Pur dichiarando di non avere obiettivi prettamente sociologici, Orwell si lascia andare a riflessioni alla Orwell: sull’organizzazione piramidale dei lavoratori di un grande albergo di Parigi, sul lavoro apparentemente inutile di quella massa di infelici che sfama e serve ricchi a loro volta (meno) infelici. Una penna leggera quella di Orwell: divertente, a tratti comica, anche quando riporta le sue esperienze di drammatica povertà fatta di digiuni forzati e di puzza di esseri umani cenciosi accatastati in un dormitorio. La promiscuità di anziani malati di bronchiti croniche con giovani alcolisti che raccattano mozziconi dalla strada è un tratto che induce l’autore fabiano a ipotizzare diversi modelli Igienico Sanitari e di organizzazione delle strutture di accoglienza per gli indigenti. La povertà come situazione molto difficilmente ribaltabile, e quindi eterna condanna per chi vi piomba.

A metà tra il diario e la riflessione sociologica, si lascia consumare in poche intense ore di lettura.

roberto palpacelli con federico ferrero- il palpa. il più forte di tutti

La storia di Roberto Palpacelli in un libro a quattro mani con il giornalista Federico Ferrero. Un talento naturale per il tennis dissipato tra alcol ed eroina, mattane da ragazzo con la maglia della Nazionale Italiana Juniores, un torneo in India su campi di sterco battuto, le peregrinazioni tra i circoli tennis tra Marche e Abruzzo.

Una vita sulle montagne russe quella di Palpacelli: disintossicazioni e ricadute violente, allenamenti (pochi) per il suo fisico da Superman e giornate alla rotonda tra i vagabondi di San Benedetto del Tronto.

Il valore del libro è sicuramente l’onestà con cui Roberto Palpacelli si racconta, non risparmiando ai lettori particolari anche macabri che sconvolgono ed emozionano. Apprezzata anche la tecnica di scrivere alcuni capitoli usando la prima persona ed altri lasciando che sia Ferrero a ricostruire la storia della vita del protagonista ricorrendo alla terza persona.

Un’autobiografia che è un romanzo di formazione compiuto, dove Palpacelli arriva alla redenzione e alla (presunta) pace interiore dopo aver attraversato tempeste relazionali e uragani emotivi. Una storia che merita di essere raccontata per fare luce sul percorso sportivo e di vita di un mancato protagonista del tennis nazionale e, chissà, internazionale. Da leggere tutto d’un fiato.

Il Palpa. Il più forte di tutti

  • Editore ‏ : ‎ Rizzoli (5 febbraio 2019)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 220 pagine

giuseppe d’avanzo – inchiesta sul potere

Giuseppe D’Avanzo 13 Settembre 2005

Già gli americani, dopo l’11 Settembre, hanno sperimentato quale straordinario strumento di governo possa essere la paura. Diventata fondamento della ragione politica (e morale), la paura svela una forza incontrollabile. Può correggere la mappa del potere (rafforzandone la verticalizzazione autoritaria); ridistribuire le risorse di una società; influenzare il dibattito pubblico; condizionare in modo significativo le scelte della politica pubblica; deformare pesantemente i diritti fino a trasferire la soluzione di ogni controversia a uno stato pre-giuridico dove contano solo il sospetto e il pregiudizio. Diventata “idea politica”, e magari alimentata con sapienza della élite del potere, la paua può modificare le nostre convinzioni su presente e futuro, conflitto e sicurezza, libertà e protezione, “noi e loro”.

Zachar Prilepin – San’kja

Sasha beve vodka, Sasha fuma le sigarette, tante sigarette, almeno una per pagina, Sasha va a Mosca a trovare i suoi compagni unionisti, Sasha sogna la Rivoluzione nutrendosi di disillusioni, di neve, di rabbia. In compagnia di alcuni bizzarri sodali, dalla periferia della sterminata Russia progetta azioni eclatanti, capaci di ridare dignità alla sua idea di Paese e alla sua idea di umanità. A Sasha non manca il coraggio: è un duro vero ma capace di amare nonostante un rapporto fatto di silenzi con la madre infermiera e con un padre morto alcolizzato.

Zachar Prilepin, reduce della guerra in Cecenia ed ex membro dell’OMON (forze speciali antiterrorismo russe), è considerato il prodigio della letteratura russa contemporanea. San’kja si distingue per la precisa descrizione della gioventù russa che non ha conosciuto l’Unione Sovietica per motivi anagrafici e che non crede al capitalismo corrotto di prima generazione della nuova Russia. Una generazione di mezzo, capace di lottare per un’idea di Paese. Un romanzo che si inserisce nei classici della letteratura russa moderna, consigliato a chi vuole avvicinarsi alla comprensione di una nazione complessa e peculiare come quella russa.

Jan Potocki – Manoscritto trovato a saragozza

Copertina

Il libro di Potocky viene presentato come un antico testo spagnolo trovato a Saragozza da un giovane ufficiale francese. L’opera si ispira nella struttura al Decamerone e a Le mille e un notte. Le avventure del cavaliere Alfonso hanno inizio nella Sierra Morena, una zona di confine popolata da forze misteriose e occulte: a partire dalla sosta nella Venta Quemada gli incontri lo porteranno a vivere esperienze divertenti ed inquietanti allo stesso tempo e ad ascoltare le storie di vita delle persone che incontrerà durante il suo cammino.

Il libro è privo di una trama lineare, la struttura del libro rimanda alle scatole cinesi: vengono narrate storie all’interno di racconti, dove i personaggi del romanzo narrano gesta di altri personaggi in una spirale che pare senza via d’uscita.

Una lettura agevole in quanto ogni capitolo è suddiviso in storie uniche e a sè stanti, senza necessariamente incastrarsi in quella che dovrebbe essere la trama principale.

Vite picaresche, avventure erotiche, esoterismo, diavoli e angeli compaiono con forza nella pagina, rappresentando (forse) il vero filo di interpretazione di questo piacevole libro.

Hugo verlomme – la guida ai viaggi in cargo

Un libro dal sapore antico quello di Verlomme, che già negli anni 90 dello scorso secolo profetizzava ed auspicava viaggi lenti in giro per il mondo su bastimenti piuttosto che in aereo. Ultimo tra i romantici e nostalgico di viaggi dal sapore ottocentesco.

L’edizione in fotografia è dell’anno 2000, agli albori dell’era tecnologica, riporta preziose informazioni per imbarcarsi come passeggeri sulle navi che coprono tratte in giro per il mondo per fini commerciali ed occasionalmente ospitano anche dei passeggeri (a pagamento). Hugo Verlomme ci riporta tante informazioni logistiche e pratiche sulla vita di bordo e sui passi da compiere prima di imbarcarsi, aiutandoci a comprendere le dinamiche della vita su una nave tra ufficiali e marinai.

Corredato da una ricca parte con i nomi degli armatori, suddivisi per nazione, che offrono cabine ai passeggeri, il libro ancora oggi rappresenta una preziosa fonte di informazioni per chi è ancora sensibile ai viaggi lenti.

L’ultima parte del libro offre una serie di consigli per l’osservazione della vita marina, raccomandando sempre pazienza e voglia di imparare.

Verlomme fu anche uno dei fondatori del Cargo Club di Parigi, un gruppo di viaggiatori oceanici e mediterranei che mensilmente si riuniva nella Libreria Ulysse. Ad oggi in rete non risultano evidenze sulle attività del club.

Eduardo Galeano – Il cacciatore di storie

L’estate 2021 ci regala la lettura di uno dei nostri autori di riferimento, uno degli intellettuali più lucidi ed arguti, un osservatore del mondo e del subcontinente americano.

Appunti, idee, annotazioni e, come da titolo, storie che meritano di essere raccontate. I temi cari a Galeano li ritroviamo in queste sintetiche pagine: gli indigeni, l’imperialismo, le ingiustizie, il sud del mondo. L’approccio della penna di Galeano non è mai bacchettone o moralista, semmai ironicamente amaro su contraddizioni e assurdità che sembrano essere una costante di questi due secoli da lui attraversati.

Rimane il rimpianto per una morte che fuor di retorica è apparsa prematura (2015), il rimpianto di non aver potuto leggere le sue riflessioni sull’epoca sanitaria che stiamo vivendo.

Ruben Gallego – Bianco su nero

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Comprato nel 2004 e letto quest’estate. Perchè? Non lo so. A voi è mai capitato?

La storia di Ruben Gallego, nato a Mosca dalla figlia di Ignacio Gallego, segretario del Partito Comunista di Spagna in esilio e da uno studente venezuelano, e la sua onorata carriera negli orfanotrofi e negli ospizi dell’Unione Sovietica. Un libro che conquista per ironia e tragedia. Una penna, meglio dire un cervello, veloce e soffice fanno da contraltare ad un fisico offeso da un parto difficile e ad una lentezza dei movimenti laboriosa e poco precisa.

Dall’infanzia all’età adulta, il libro sembra dividersi in due parti. Nella prima il Gallego bambino, ironico e disincantato parla della sua malattia e dei suoi compagni di orfanotrofio; nella seconda traspare una maggiore amarezza per la propria condizione, per la disabilità e per la cattiveria e l’idiozia degli esseri umani.

Gallego ci parla senza commiserarsi, senza cercare pietà pelose, ed anzi sembra ribaltare il punto di vista criticando alcuni comportamenti dei cosiddetti “normali”.

Nonostante situazioni grottesche da bambino e disavventure tragiche da adulto, Gallego con questo libro afferma che lui c’è, è un uomo e come tale ha diritto a vivere e a raccontare la vita.

Sulla vittoria dell’Italia a Euro2020

Riflessioni a (semi)freddo sulla vittoria dell’Italia a Euro2020, un Europeo anomalo nella forma itinerante e giocato con un anno di ritardo per motivi che tutti conosciamo e che sarebbe ridondante ricordare.

Nella mente e nel cuore le calde emozioni della serata di Wembley che riporta gli Azzurri in cima all’Europa calcistica e sportiva. Una notte che si preannunciava epica, oltre la retorica, e che epica è stata. Iniziata con i bianchi compatti e subito in vantaggio, la serata perfetta per loro per tornare ad alzare una coppa dopo decenni di delusioni e sconfitte spesso onorevoli. Il cross di Trippier e la botta in controbalzo di Shaw portavano in vantaggio la nazionale dei Tre Leoni, anche i reali esultavano come i sudditi di Sua Maestà. Chili di muscoli e centimetri inglesi, fisici statuari e grinta anglosassone, freddezza nel gestire le emozioni e tifo compatto.

Con il loro stile pulito e un gioco di squadra armonico pur nella durezza gli inglesi nel primo tempo sono sembrati invincibili, inscalfibile la difesa guidata da Maguire e inarrestabili le giocate da regista arretrato di Kane. Gli Azzurri hanno chiuso la prima parte come contro la Spagna, chiedendosi come riannodare le trame di una partita che più sfilacciata non sarebbe potuta presentarsi. E proprio come contro le Furie Rosse nel secondo tempo il cuore dell’Italia ha cominciato a pulsare, prima a ritmi moderati e poi sempre più allegri. Tecnica e tattica, cuore e atletismo degli Azzurri hanno ripreso la partita, innanzitutto con un gol apparentemente casuale, in realtà cercato e meritato. Da quel momento gli inglesi si sono sgonfiati, progressivamente perdendo certezze psicofisiche e pur lottando fino alla fine hanno iniziato a fare la figura degli sparring partner contro un’Italia sì stanchissima e incerottata ma mai così dentro il match. I nostri avevamo più voglia e più consapevolezza di vincere.

I supplementari come sempre appesi ad filo, basta un refolo di vento per spezzare l’equilibrio, prima della chiusura ai rigori. Chiamarla lotteria è inutile luogo comune, conta certamente la fortuna ma la tecnica e la psiche hanno un peso enorme. Il portiere Donnarumma, già riconosciuto dalla stampa mondiale come numero 1 del pianeta, si è calato nella sfida finale con la calma dei forti, sicuro dei suoi mezzi e apparentemente tranquillo come se stesse giocando a carte. Gli faceva da contraltare un Pickford che giocava sui nervi, e comunque capace di un prodigio su Jorginho. L’iniziale non esultanza di Donnarumma dopo il tiro di Saka dimostra che il numero 1 avrebbe potuto continuare a parare altri 11 rigori, con la certezza che segnarli sarebbe stata l’eccezione e non la regola.

Il pianto di Mancini e l’immancabile abbraccio con Vialli, ormai una consuetudine narrata in maniera stanca e retorica dalla stampa e dai social network, hanno rappresentato bene lo stato d’animo di una tifoseria esausta di combattere e vincere battaglie. Mancini come allenatore di club, soprattutto all’Inter, non era mai stato capace di creare tanta empatia con i suoi tifosi, e forse neanche con la sua squadra. Veniva percepito come un allenatore divisivo, egocentrico come tutti gli allenatori e stizzito nei rapporti con la stampa. Un nobile del calcio, un po’ snob dall’alto della sua classe immensa da giocatore, eppure mai davvero protagonista con la maglia della Nazionale. Lui e molti altri tifosi hanno chiuso il cerchio con la delusione enorme di Italia90 dove Mancini non giocò neanche un minuto di quel Mondiale; il richiamo alle Notti Magiche è stato un amuleto nonostante la scaramanzia nel ricordare quell’esperienza magnifica delle nostre vite ma drammatica sul campo del San Paolo di Napoli contro l’Argentina di Maradona.

La vittoria del 2006 ha ripagato una generazione di tifosi dalle amarezze di Italia90, Usa94, Francia98, Euro2000, squadre eccellenti e piene di campioni ma fermate a pochi passi dalla gloria dai rigori o da un golden goal. Ma si trattava di un gruppo di qualità superiore, con campioni affermati al culmine della carriera.

La vittoria di ieri, 11 Luglio 2021, invece viene dopo l’anno zero del calcio Italiano, quel 2018 in cui ci siamo riposati nel vedere gli altri correre ed esultare. Il 3-0 subito a Madrid dalla Spagna a fine estate 2017 nelle qualificazioni tolse tutte le certezze ad un gruppo discreto, guidato da colui che da allora viene visto come un allenatore pessimo, Giampiero Ventura. Le disgrazie sportive iniziarono quel giorno e la traversata nel deserto di Mancini è servita a ricostruire un gruppo soprattutto da un punto di vista psicologico, a ridare la certezza di poter competere a chi cominciava a non sentirsi capace a sommi livelli. Già detto del portiere e con una coppia di centrali a livelli da Pallone d’oro, le tipiche armi sportive azzurre, Mancini non ha avuto timore nel costruire una squadra tecnica e con l’approccio di dover provare a dominare le partite. La Coppa è tornata a casa nostra e i tifosi sono ancora tutti nelle piazze e lungo le strade a festeggiare un sogno realizzato di inizio estate.

Jack London – Le mille e una morte

L’inconfondibile stile della penna di Jack London (nella traduzione di Stefano Manferlotti) risulta ancora più evidente in questa raccolta di racconti brevi. Il tema di fondo è, come da titolo, la morte: dagli aspetti macabri a quelli di pacificazione, dalla violenza alla fantasia. London confeziona racconti stilisticamente perfetti, pagine piene di pathos e ritmo. La natura selvaggia, di cui l’uomo è parte integrante, e la natura animale che è minimo comun denominatore della vita sul pianeta Terra.

Insuperabile la violenza in Batard e la lotta tra uomo e cane, lasciandoci il dubbio su chi sia la bestia. Stilisticamente perfetto e ritmo incalzante in Accendere un fuoco, dove la cultura prova a controllare la natura, anche quella a 40 gradi sotto zero.

La comoda e pratica edizione economica Adelphi rende il libro ottimo per una lettura in spiaggia o sul treno.

Lee Durkee – Last taxi driver

Dal Mississippi al Mississippi passando per diciassette inverni e mezzo nel freddissimo Vermont. In mezzo la pubblicazione di un libro, un corso (disastroso per stessa ammissione del protagonista del romanzo) all’università su Shakespeare ed una crisi creativa quasi ventennale.

Lee Durkee supera la sindrome della pagina bianca e torna e nei panni di Lou Bishoff, tassista della compagnia All Saints di Gentry, Mississippi. La All Saints svolge un servizio sociale sul territorio occupandosi di offrire passaggi (a pagamento) a malati terminali, tossici, galeotti freschi di rilascio, umanità in carico dai servizi sociali, rappers armati e motociclisti tatuati. Non c’è carità o pietà, molto viene delegato alle capacità di empatia degli autisti. Lou ne ha palate da regalare ai suoi clienti, nonostante le sfighe incredibili che patisce da due decenni. Una conversione al Buddhismo lo aiuta, minimamente, a gestire le nevrosi della vita quotidiana ma una fidanzata depressa perennemente a letto bilancia le sue pratiche di meditazione. Le due forze contrastanti risultano in una singhiozzante sindrome di Tourette e in mal di schiena invalidante.

Lontanissimi dalle mille luci della costa Est e dalle ville con piscina della California, Lee Durkee ci guida nella sconfinata America dei losers mimetizzandosi tra i suoi clienti, gente al capolinea della vita. Un libro ironico e amaro, una risata viene subito compensata da un pugno allo stomaco. Un libro bipolare.

Bentornato Lee!

Last taxi driver

Lee Durkee
Black Coffee, 304 pp., 18 euro

Annino La Posta – Franco Battiato. Soprattutto il silenzio

La morte di Franco Battiato lascia un vuoto nella musica d’autore italiana e mondiale. Autore capace di essere ermetico e pop allo stesso tempo, amato da intellettuali e dall’uomo della strada.

La ricerca interiore coltivata attraverso viaggi in tutto il mondo e attraverso lo studio di religioni e delle pratiche mistiche hanno reso la produzione di Battiato peculiare, ricca di riferimenti culturali ma non necessariamente eruditi.

Battiato lascia ai suoi fan molti album in studio, raccolte, live. La sua arte si è espressa anche con la pittura e il cinema. Notevoli anche le collaborazioni artistiche coltivate negli anni, tutte di spessore (dal poeta e filosofo Manlio Sgalambro alla cantante Alice, dal leader dei CCCP-CSI Giovanni Lindo Ferretti alla soprano Ginevra Di Marco passando per Goran Bregovic e fino al figlio d’arte Morgan).

Il libro di Annino La Posta ci fa rivivere tutta la carriera dell’autore siciliano, dagli esordi alla fine del primo decennio del 2000. Per ogni album c’è un’apposita sezione che analizza la genesi di ogni singola traccia, servendosi anche di dichiarazioni dello stesso Battiato.

Il suo ultimo inedito, Torneremo Ancora del 2019, è il testamento spirituale ed artistico di un uomo indimenticabile.

Rosma Scuteri – New York anni 80

Più che un libro una mappa della New York frizzante e frenetica degli anni 80 attraverso interviste ad artisti e galleristi, reportage dell’epoca e ficcanti critiche artistiche ed estetiche. L’arte del Lower East Side che da underground diventava mainstream, un quartiere che prima delle gentrificazioni pianificate si riqualifica mediante la spontaneità dell’espressione artistica d’avanguardia: graffiti, murales, sculture, break dance, pop art. I capitoli scritta dalla Scuteri vanno oltre i celebrati Jean Michael Basquiat e Andy Wharol, simboli del decennio newyorkese e personaggi bandiera del movimento artistico, per occuparsi di artisti, collettivi e spazi (ABC no Rio) meno conosciuti ma molto influenti e caratterizzanti.

Un decennio non solo di gloria e vernissage, ma anche di crisi: il crollo di Wall Street del 1987 incide in maniera negativa sui finanziamenti agli artisti e porta alla chiusura di alcuni spazi o al loro spostamento verso nord, uptown, nella Soho prediletta dall’establishment finanziario.

La diffusione dell’Aids, pandemia ante-litteram, frena gli incontri (sessuali ma non solo) nella Manhattan delle mille luci degli anni 80, creando distanza e barriere tra le persone e influenzando anche le espressioni artistiche.

Il libro della Scuteri è una preziosa testimonianza di chi ha vissuto quell’esperienza in prima persona, decodificando i linguaggi e influenzandone l’arte.

Don DeLillo – L’uomo che cade

(Dalla quarta di copertina)

Keith Neudecker lavora nelle Twin Towers e sopravvive al crollo di una delle due. Si ritrova coperto di cenere, vetro e sangue, in mano stringe una valigetta non sua. Scioccato, si fa portare a casa della moglie Lianne, dalla quale si era separato da oltre un anno. Keith e Lianne cercano di riavvicinarsi, con loro c’è il figlio Justin, che passa le giornate scrutando il cielo alla ricerca di altri aerei mandati da Bill Lawton (così, con i suoi amici, Justin storpia il nome di bin Laden). Dalla valigetta Keith risale a Florence, un’altra sopravvissuta, che inizia a frequentare all’insaputa della moglie. Una relazione, anche sessuale, retta sul trauma che li accomuna. Nella seconda parte compare Nina, la madre di Lianne. Da dopo il suicidio del marito sta con Martin, un uomo ambiguo che ha vissuto tra gli Stati Uniti e l’Europa: un miscredente, un occidentale, un bianco, ma forse anche un terrorista. Tre anni dopo, il tentativo di ricostruire la famiglia è fallito: Keith trascorre lunghi periodi in viaggio, da Parigi a Las Vegas, immerso nei tornei di poker, assorbito in una vita che lo riduce quasi una cosa; Lianne aiuta con corsi di scrittura creativa anziani affetti dall’Alzheimer e si è avvicinata alla religione cattolica. Le loro vite sono intersecate dall’uomo che cade, un performer che si lancia in caduta statica da vari punti della città, assumendo le posizioni di un uomo che si era buttato dalle Torri prima del crollo: “a testa in giù, con le braccia tese lungo i fianchi, un ginocchio sollevato”.

Bret Easton Ellis – Bianco

Il ritorno di Bret Easton Ellis alla letteratura a circa 10 anni di distanza da Imperial Bedrooms. Non si tratta di un romanzo quanto di una raccolta sistematica di appunti dell’autore che parte dalla sua formazione e passa per gli stadi fondamentali della sua vita di scrittore ed intellettuale.

Ellis adora il cinema e ha sviluppato molte collaborazioni con l’industria come sceneggiatore e ci parla dei film che più lo hanno influenzato, e turbato, durante l’infanzia e l’adolescenza nella Los Angeles degli anni 70. Critiche non prettamente cinematografiche quanto estetiche, sui linguaggi usati dai registi e sull’impatto avuto sugli occhi degli spettatori.

Il politicamente corretto dilagante che non permette di esprimere un’opinione senza il rischio di essere massacrati dal conformismo di falangi che hanno ragione a prescindere, da eserciti civili (è proprio il caso di dirlo) che stanno per definizione nella metà campo giusta, è una delle derive dell’America anti-Trump.

Ellis, che ripetutamente si dichiara gay e liberal, ammette di non aver votato per Trump ma riporta perplesso il comportamento di stampa, intellettuali ed amici che in maniera manichea ne vedono la rappresentazione del Male e la causa della decadenza degli USA. Rappresentazioni bizzarre del presidente, ritratti al limite della caricatura, contro Trump tutto è ammesso, anche minacciarlo di morte o volerlo colpire in maniera violenta.

Probabilmente la contrapposizione bipolare è accentuata da quella che Ellis chiama corporate culture, dove la discussione sui social è polarizzata e sintetica per definizione. Conta mettere mi piace, ottenere like e condivisioni, non provare a sviluppare un discorso logico o semplicemente provocatorio. I social network come recinti vuoti, dove i cervelli sono già fuggiti.

Particolarmente godibile e sicuramente apprezzata dai suoi fan è la parte in cui l’autore racconta la sua vita a Manhattan negli anni 80, quando nasce il suo libro più venduto American Psycho. Ellis parla della genesi del romanzo, delle sfumature del personaggio Patrick Bateman e di dove lo si potrebbe incontrare oggi.

Intenso il ricordo di Ellis sull’11 Settembre che all’epoca viveva a Manhattan.

Un libro che parte guardando indietro e che si serve del passato per descrivere il presente e provare ad orientare il lettore nel mondo del post-impero.

Eduard Limonov – Diario di un fallito

L’esperienza di Eduard Limonov a New York, da cui invia questo diario come se fosse una raccolta di cartoline per l’umanità. Una scrittura creativa, a tratti surreale, che si esprime nella traduzione italiana come poesia in prosa. Brevi testi per descrivere il candore della neve e il nero del catrame della città o la ricchezza di alcuni contro la povertà di Limonov stesso.

Povero sì ma non di talento. Limonov è sempre egocentrato, descrive la sua misera vita nella “Grande Mela” attraverso immagini di scarafaggi e ratti, scene di sesso e pulsioni sessuali inconfessabili. Dissacrante per natura, a tratti sociopatico, le sue svagate riflessioni passano dall’angolo buio della sua stanza fino all’umanità come sistema governabile attraverso sedicenti rivoluzioni armate. L’eroismo delle armi ed il machismo tenero della guerra dei sessi sono temi che Limonov porta avanti per gran parte della sua esperienza americana ed anche per il resto della sua vita. In anni in cui il politicamente corretto non era ancora un dogma da rispettare, Limonov forza la mano del dissacrante e dell’intellettuale di rottura. Dalle sue pagine traspare una grande insicurezza, un sentirsi inadeguato in un contesto che rende invisibile, un bipolarismo di sentimenti: l’autocommiserazione di sovietico emigrato per scelta e l’esaltazione di avere un cervello pensante che lo porterà ad interrogarsi ogni secondo sulla sua vita e sulle sue azioni. Un uomo libero!

Xavier de Maistre – Viaggio intorno alla mia camera

Un libro di cui ho sentito parlare la prima volta molti anni fa, durante le lezioni di Letterature Comparate tenute dal compianto professor Armando Gnisci all’Università La Sapienza. Lezioni coinvolgenti di una materia che non fu facile inquadrare da una semi-matricola. Non c’era solo da leggere meccanicamente i libri per rispondere alle domande durante l’esame, era necessario comprendere la disciplina. Oggi penso che Letterature Comparate sia stato uno degli esami più interessanti e coinvolgenti della mia carriera universitaria, lasciandomi in testa non tante certezze ma molte domande e spunti intellettuali. Penso che Letterature Comparate sia un metodo e un approccio alla letteratura, alle lettere in genere, e di un esercizio mentale permanente per capire e comprendere il mondo attraverso manifestazioni e fenomeni in primis letterari ed anche culturali.

Il canone dei testi che ministeri e prassi consolidate ci impongono come capolavori ma che nessuno legge, e la letteratura dell’altro, del diverso, proveniente da Paesi che sono considerati il “Terzo Mondo” della letteratura, ma che sono capaci di raccontare l’altro ed anche noi stessi.

La morte del professor Gnisci nel giugno 2019, nel periodo degli esami della sessione estiva, lascia un cratere di dolore e nostalgia nei suoi studenti e nella Facoltà di Lettere e Filosofia.

Il libro di de Maistre è composto da 42 capitoli, come 42 i giorni di confinamento a cui fu sottoposto per un duello non autorizzato. L’autore viaggia con la mente e con il corpo lasciandosi andare a riflessioni filosofiche, dialogo con l’altro da sè, la sua bestia, e ci insegna in questi tempi di semi-confinamento obbligatorio che l’ultima frontiera di libertà per l’essere umano rimane la propria mente.

Xavier de Maistre – La giovane siberiana

Scritto nel 1815 (o 1825, la data è incerta) dall’ufficiale savoiardo Xavier de Maistre, “La giovane siberiana” è stato pubblicato negli anni 50 da Utet nella collana per ragazzi “La scala d’oro”. Narra le vicende di una ragazzina, Prascovia, costretta con la sua famiglia in esilio, e decisa a riscattare la libertà e l’onorabilità del padre intraprendendo un lungo viaggio a piedi dal remoto villaggio della provincia di Tobolsk fino alla corte dell’Imperatore a San Pietroburgo. Due anni vissuti tra villaggi innevati, boschi inospitali, passaggi su diligenze postali e battelli in risalita sul fiume.

L’edizione Utet è semplificata ed illustrata, tuttavia riuscendo a mantenere quelli che probabilmente erano i temi cari a De Maistre: la fede in Dio, il buon cuore e l’animo nobile anche dei poveri.

De Maistre visse in Russia per circa 25 anni e descrive con abilità la vita umile delle famiglie siberiane costrette all’esilio.

Il libro è di difficile reperibilità nelle libreria ma ancora disponibile in alcune biblioteche comunali e regionali.

Il prossimo libro che verrà recensito, attualmente in fase di lettura, è il celebre “Viaggio intorno alla mia stanza” dello stesso De Maistre.

Emmanuel Carrère – Limonov

Eduard Limonov, scrittore e dissidente sovietico, morto lo scorso 17 Marzo 2020 è lo spunto per l’autore Emmanuel Carrère per raccontarci gli anni dell’Unione Sovietica e della turbolenta transizione verso la democrazia.

La vita di Limonov è di per sè un romanzo: giovane scrittore di poesia nella sperduta provincia Ucraina, artista emergente a Mosca, squattrinato maggiordomo al servizio di un milionario nella New York delle mille luci degli anni 80, miliziano durante la Guerra nei Balcani. Provocatore e dissacrante, paradossale nelle sue esternazioni e feroce critico del sistema comunista e e di quello capitalista, Limonov con la sua vita e soprattutto con i suoi libri lascia una traccia importante su cui molti ragazzi sovietici percorrono i passi verso la libertà mentale e di pensiero. Romanzi ancora oggi venerati dai suoi adepti ed ex militanti del partito Nazionalbolscevico, proprio da Limonov fondato. “Il poeta russo preferisce i grandi negri”, “Diario di un fallito” e “Il trionfo della metafisica. Memorie di uno scrittore in prigione” appartengono alla cultura underground in salsa russa.

Carrère usa il personaggio anche per raccontare un po’ della sua vita da intellettuale francese di origine russa, azzardando qualche parallelismo intellettuale, e soprattutto fornisce una lettura sul frammentato e solo apparente monolitico mondo socialista dell’Est Europa, introducendo spiegazioni e dissertazioni sulla caduta del comunismo in Urss, in Romania, in Jugoslavia.

Un libro capace di presentare anche altri autori più o meno contemporanei di Limonov, un filone letterario forse ancora poco conosciuto in Italia. Da Erofeev e la sua “Mosca sulla vodka” a Prilepin e “Il monastero” fino ad “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solzenicvn.

Nagib Mahfuz – Il ladro e i cani

Dalla terza di copertina

Nell’itinerario narrativo di Nagib Mahfuz, “Il ladro e i cani” segna l’affrancamento da alcune proposizioni del realismo e la ricerca di uno stile in cui confluiscano quotidianità e trascendenza, come segni esemplari del mondo concreto e del mondo fantastico. Nelle vicende di un ladro che, attraverso la vendetta, insegue un’improbabile giustizia per il tradimento degli ideali giovanili, si celebra infatti la rappresentazione allegorica di una concezione tragicamente catartica dell’esistenza. Le pagine del romanzo si affollano allora di personaggi identificanti le trascorse esperienze del protagonista e il rispecchiamento di questi in una mutevole realtà che sempre lo relega in quella dimensione dove verità e menzogna coincidono annullando sia i miti del passato sia le speranze nel futuro. Il saggio, il poliziotto, l’amico importante, la prostituta, l’oste, la moglie, il rivale e la figlia che lo rifiuta, costituiscono per Sadi Mahran un travagliato presente ossessivamente segnato dall’imperativo della rivalsa: un mondo fitto di viuzze, palmizi, taverne, periferie desolate, contrafforti sabbiosi e cimiteri prospicienti il deserto, in cui solamente il ricordo può guidarlo, dopo un cammino scandito da morti innocenti, all’appuntamento con il proprio destino. Infine il pensiero di Sadi Mahran si aggruma intorno all’idea di un’entità superiore, di cui la morte personifica l’araldo…

Robert M. Pirsig – Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta

Appunti sul libro

Un libro che con il pretesto del viaggio in moto ci porta in territori di speculazione filosofica. Pirsig ha scritto solo due libri nella sua vita, ma ha letto e studiato molti testi di filosofia greca e indiana. Dal Minnesota a San Francisco in compagnia del figlio Chris e di due amici che lasceranno il viaggio a metà.

Pirsig ed il suo alter-ego Fedro (probabilmente si infurierebbe se sapesse che l’ho definito così) ci raccontano in maniera chiara e leggera alcune operazioni per la manutenzione della motocicletta, che diventa un esercizio spirituale e di conoscenza. Il concetto di Qualità prende molte interessanti pagine del libro e Pirsig è un ottimo divulgatore, non noioso e appassionato. Ci racconta la sua esperienza di docente, offrendo anche degli spunti di metodologia didattica illuminanti, e di studente adulto che riflette sugli errori e sui progressi fatti durante la sua ricerca. Sullo sfondo la malattia psichiatrica che lo porta ad allontanarsi dalla famiglia e dalla prima moglie.

Composto di 4 parti e di una postfazione, tutte scorrevoli ed interessanti, è un libro da leggere tutto d’un fiato e da tenere sul comodino per sempre utili e necessari chiarimenti e ripassi.

Dalla quarta di copertina

“Una Grande Avventura, a cavallo di una motocicletta e della mente; una visione variegata dell’America ‘on the road’, dal Minnesota al Pacifico; un lucido, tortuoso viaggio iniziatico. Qual è la differenza fra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta? Mentre guarda smaglianti prati blu di fiori di lino, nella mente del narratore si formula una risposta: “”Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore””. Questo pensiero è la minuscola leva che servirà a sollevare altre domande subito incombenti: da che cosa nasce la tecnologia, perché provoca odio, perché è illusorio sfuggirle? Che cos’è la Qualità? Perché non possiamo vivere senza di essa?”

Daniel Woodrell – Io & Glenda

“Io” è un ragazzo trattato da sfigato dal suo padre-patrigno, Red. “Io” si chiama Morris, ma per tutti è Shug. Vive lavorando per Red ed il di lui compare Basil: ruba medicinali, droghe convenzionali, che servono per sballarsi. Glenda invece è Glenda, cioè tutto. Mamma bella e sexy, svampita e sensuale come una novella Marilyn, calda e bagnata, chiama suo figlio “pasticcino”… Non proprio una madre rassicurante, ma a Shug piace così. Glenda ha un sacco di problemi, in primis suo marito Red, soggetto che meno raccomandabile non si può: drogato, violento, giocatore d’azzardo, galeotto impenitente, sfruttatore. Un vero cane morto. Shug ama Glenda. La ama come tutti i bambini amano la mamma? No! Di più: Glenda sembra essere l’unica ragione di vita di Shug.

Può mancare l’eroe positivo? Il salvatore delle vite altrui, il redentore che prende e porta lontano dal vessatore i malcapitati vessati? Ecco allora che appare Jimmie van Pierce.

Pur non sembrando molto originali, gli ingredienti letterari missati da Woodrell ci regalano un libro che si lascia amare per stile e contenuti. Romanzo che evoca immagini cinematografiche e che tratta una breve fetta di vita dei losers americani, senza cadere nelle sabbie mobili del moralismo o dell’happy end.

Rosa Mogliasso – L’assassino qualcosa lascia

“L’assassino qualcosa lascia” cosi’ come l’autrice Rosa Mogliasso lascia un bel libro ai lettori.

Un omicidio commesso col sorriso sulla labbra e’ lo spunto per descrivere una Torino viziosa, borghese ed indifferente.

Il Commissario Gillo, il Vice Peruzzi, l’Aggiunto Zuccala’, l’Avvocato Peressi e la sua Signora, il mercenario Guillame sono i personaggi che reggono tutta la robusta struttura narrativa. Senza essere caricaturali le vicende narrate mettono in evidenza le dinamiche professionali e le meschinita’ di un ambiente lavorativo d’avanguardia. Sotto il riflettore di un freddo omicidio e di convulse indagini appare in controluce l’umanita’ solitaria dei protagonisti: professionisti impeccabili (o quasi) che hanno una vita privata nulla, che hanno concentrato le lore energie quasi esclusivamente nel lavoro. Tutti i protagonisti vengono descritti psicologicamente in maniera molto soddisfacente e per nulla stereotipica. 

Le procedure e le attivita’ del Commissariato di Polizia sono narrate con consapevolezza e danno grande credibilita’ a tutto il racconto; il  libro e’ scritto in maniera chiara e la lettura e’ scorrevole, nonostante alcuni passaggi piuttosto dotti sulla filosofia di Nietzsche.

Andrea Fazioli – Come rapinare una banca svizzera

Una banca svizzera. Una donna in pericolo. Un ex ladro dedicatosi al giardinaggio. Questi i principali ingredienti del nuovo romanzo di Andrea Fazioli, nuovo talento del giallo italiano (anche se lui e’ svizzero…).

Nel verde e sereno Canton Ticino, terra di montagne innevate e banche imbottite di denaro (pulito e sporco), un’eterogenea compagnia di persone oneste si vede coinvolta dal guru della rapina Jean Salviati nello svaligiare una filiale di un istituto di credito. Non e’ proprio una passeggiata, ma Salviati deve avere quei soldi per poter liberare la sua bella figlia Lina, dedita ai vizi del gioco e al debito facile.

Con uno stile di scrittura asciutto ed essenziale, Salviati regala grande ritmo a tutta la storia. I personaggi coinvolti nel progetto rapina sono delineati psicologicamente in maniera soddisfacente e tutto il romanzo e’ un crescendo fino al momento culminante della rapina, dove trucchi presi in prestito dal fumetto “Diabolik” e colpi di scena a ripetizione regalano suspense e tensione.

Un unico appunto riguarda la troppo netta distinzione tra buoni e cattivi del romanzo: anche se i buoni sono quelli che compiono la rapina!

Mario Rossi – Tre io

Non importa dove, non importa quando, non importa perche’. L’unica cosa che conta e’ essere.

Io, tu, lei. No! Io, Io, Io.

Tre soggetti, la stessa voglia di reclamare un posto in questo mondo.

Un racconto diretto e spossante come un calcio in faccia, scritto tutto in prima persona.

Tre personaggi, tre vite solitarie e monadiche che solo casualmente interagiranno. O almeno proveranno a farlo. Il guscio che racchiude e isola le loro esistenze non presenta crepe, solo qualche volontaria apertura che genera incomunicabilita’ ed incomprensione piu’ che complicita’ e solidarieta’ umana.

Un sabato sera, una citta’ qualunque, la ricerca della felicita’ attraverso lo sballo e i paradisi artificiali, anche loro equivoci e portatori piu’ di solitudine che di compagnia.

Dante filosofo esistenzialista, decadente e definitivamente sconfitto dalla vita reale.

Giulia, donna e moglie, moglie e donna. Insoddisfatta ma non troppo del marito.

Andrea, “wannabe” italiano, figlio della generazione dei Grandi Fratelli e della televisione come scorciatoia verso la felicita’.

Tre personaggi lontanissimi, senza nulla da dirsi, ma che diranno, ci diranno, che proveranno a riscattarsi almeno una volta, rischiando, mettendosi in gioco controvoglia e non venendo ripagati dal loro folle azzardo.

Dante, Giulia, Andrea. Tre nomi. Tre vite. Tre Io.

Thomas Pynchon – Un lento apprendistato

Vi è mai capitato di comprare un libro e poi di lasciarlo in libreria per mesi, per anni? A noi sì, molte volte. Un lento apprendistato è uno di questi, comprato nel Giugno 2009, iniziato a sfogliare e poi accantonato per qualche ragione che ora ci sfugge. Probabilmente eravamo concentrati su qualche altra lettura, forse in estate ci siamo dedicati ad altri interessi. Fatto sta che pochi giorni fa, scansionando la libreria in cerca di pagine nuove, abbiamo ritrovato questo volume nella sempre piacevole collana Stile libero di Einaudi (a proposito, ci sono tante belle case editrici in Italia ma il fascino di Einaudi è sempre irresistibile) e dopo le prime pagine leggermente ingiallite dal tempo siamo passati a leggere l’interessante introduzione dello stesso autore che riflette sul mestiere dello scrittore e critica aspramente la sua stessa opera, non riconoscendosi in essa. Pynchon dubita che sia stato proprio lui a scrivere quei racconti, affermando che il lui di 50 anni fa è ovviamente diverso da quello che è oggi come uomo e come autore. Cinque racconti scritti fra il 1958 ed il 1964 formano la raccolta che nel titolo originale è Slow learner. Per aspiranti scrittori.

I racconti presenti nella raccolta:

  • La pioggerella
  • Terre Basse
  • Entropia
  • Sotto la rosa
  • L’integrazione segreta

Roberto Bolaño – Chiamate telefoniche

(Dalla quarta di copertina)

I quattordici racconti che compongono questa raccolta apparsa nel 1997, agli esordi della carriera di Roberto Bolaño, distillano già quelle che saranno le ossessioni ricorrenti della sua narrativa e i temi attorno a cui si addensano: la letteratura, la violenza – appena sussurrata o quanto mai tangibile –, l’amore e il sesso. Il lettore vi incontrerà esistenze borderline, apolidi e insane, alla ricerca di un senso o che al senso hanno rinunciato, sballottate dal caso e da un’assurda quotidianità, tra amori infelici, errori evitabili e solitudini. Sono racconti aperti, imprevedibili, che non si esauriscono nella desolante constatazione dell’insensa­tezza della vita umana, ma giocano con il lettore, spingendolo a cogliere le citazioni occulte, le figure nascoste nella trama dell’ordito, a cercare di comprendere messaggi che risultano indecifrabili in primo luogo ai protagonisti stessi. Come se al fondo di ciascuna di queste storie ci fosse un enigma che sa essere, al tempo stesso, ilare, inquietante e spaventoso.

Parenti serpenti – Mario Monicelli

Un classico di Natale, ormai entrato nell’immaginario collettivo nazionale come le commedie di Eduardo: fratelli e sorelle con rispettivi coniugi e bambini si ritrovano a casa degli affettuosi nonnini per passare le vacanze natalizie. Si cucina, si beve, si gioca a carte e si prova a stare bene. Col passare dei giorni piccoli screzi e lingue biforcute fanno emergere crepe nella famiglia che tuttavia resta unita attorno al focolare domestico. I nonni sono il motivo per cui la famiglia si ritrova ogni anno, non si può e non si deve modificare questa consolidata dinamica.

Monicelli dirige con maestria gli attori di questa amara commedia corale, impreziosita dall’ambientazione piccolo borghese abruzzese dello sceneggiatore Carmine Amoroso. Il film è del 1992, quando le case di riposo si chiamavano ospizi (oggi RSA nel linguaggio tecnico sanitario), e se alcune abitudini e riti natalizi sembrano ormai lontani e persi per sempre, le relazioni famigliari con annesse tensioni e ipocrisie ci rendono un’immagine a specchio della nostra società.

Lucio Biancatelli – Poveri ma belli. Il Pescara di Galeone dalla polvere al sogno

Per rivivere le emozioni degli anni 80 della costa abruzzese. Biancatelli ricostruisce l’impresa sportiva del Pescara retrocesso in C nel 1986/1987 e che dopo il ripescaggio andrà a conquistare una promozione storica in serie A capitanata dall’allenatore viveur Giovanni Galeone. Impreziosita dalla prefazione di Gianni Mura, altro estimatore del calcio e dei buoni vini, l’autore raccoglie le testimonianze dei protagonisti della squadra biancazzurra, partendo proprio dall’allenatore e dal presidente Marinelli. Una squadra composta da calciatori di talento: Gianpiero Gasperini e Rocco Pagano, la freccia dell’Adriatico, i canterani Camplone e Dicara, il bomber Rebonato. Il percorso continua con l’altrettanto storica salvezza del 1987/1988, con una squadra capace di espugnare San Siro sponda Inter all’esordio e di presentare un 11 iniziale con Leo Junior e Baka Sliskovic. Sullo sfondo delle pagine di Biancatelli si intravede la Pescara degli anni 80, una città in crescita e capace di dominare a livello mondiale nella pallanuoto grazie anche al talento di Manuel Estiarte, una città votata al turismo e al buon vivere, tanto che molti dei protagonisti dell’epoca sono rimasti in città anche dopo aver chiuso l’esperienza calcistica in biancazzurro. Un libro imperdibile per gli sportivi che hanno amato lo stile fuori e dentro il campo del vate Galeone.

Valerio Evangelisti – Gocce nere

Dalla seconda di copertina

In un futuro non troppo lontano, un regime informatico globale governa la vita dei cittadini attraverso il Vortex, una gigantesca stazione orbitale che per conto dell’ONU gestisce tutte le reti di informazione. A combattere questa forma di dittatura sono solo alcuni nuclei di guerriglieri sparsi per il mondo, che hanno creato una loro rete di comunicazione denominata Resyst. La fuga di un detenuto da un carcere di massima sicurezza in Giappone sembra il preludio ad un’azione sovversiva mondiale che avrà il suo culmine nel nuovo carcere brasiliano di Sepultura, dove si nasconde un terribile segreto

Michele Masneri – Steve Jobs non abita più qui

La California del nord, quella della Silicon Valley dai prezzi esorbitanti delle case e delle stanze, dove si fa tutto o quasi con le app. Michele Masneri ci porta in viaggio col suo “Erasmus tardivo”, esplorando l’umanità e le bizzarrie di chi progetta di diventare milionario con la sua app e nel frattempo vive nei sottoscala, descrivendo ingegneri che guadagnano centinaia di migliaia di dollari ma vivono ancora nei camper, intervistando vecchie glorie della California che fu, girovagando per la San Francisco della “Summer of love” che dopo mezzo secolo vede la sua rivoluzione sessuale tramutatasi in mania. Il cibo biologico e vegan, il sesso, la prevenzione dell’Aids, e due nemici pubblici che è meglio non nominare in pubblico: Donald Trump e soprattutto “lo zucchero”!

Nella prima parte il libro alterna un tono ironico ad una descrizione anche amara del mondo in cui tutti vivremo fra poco a seguito dell’accelerata Covid: un mondo con pochi contatti personali e con scarsissime possibilità di improvvisazione, anche se si tratta semplicemente di farsi tagliare i capelli in un parrucchiere da coworking. Proprio la prima parte rappresenta la più interessante di tutte le circa 300 pagine, Masneri usa uno stile linguistico scorrevole e forbito, ricco di anglicismi intraducibili (o quasi) in italiano.

Negli ultimi capitoli l’autore comincia a percorrere la Highway 1 in direzione sud fermandosi, tra gli altri luoghi, a Malibu, Santa Monica e terminando il suo viaggio a Palm Springs.

Notevoli e da ricordare le interviste realizzate a domicilio agli scrittori Jonathan Franzen e Bret Easton Ellis.

Thorkild Hansen – Arabia Felix

Cover

Recensione di letteraturadiviaggio

Può un libro ambientato 250 anni fa emozionarci e farci vedere con gli occhi dei protagonisti luoghi che rimangono remoti anche nel 2020?

Arabia Felix ricostruisce con un stile epistolare l’epica, è il caso di dirlo, spedizione scientifica danese che portò conque uomini con un servitore a compiere un viaggio di ricerca scientifica da Copenhagen allo Yemen passando per Marsiglia, Costantinopoli, El Cairo, e poi Bombay, Bassora, Baghdad, Aleppo fino al ritorno di un solo membro della spedizione in Danimarca. Le avventure di un agrimensore, un botanico, un medico, un filologo ed un illustratore in giro per tre continenti alla ricerca di informazioni scientifiche. Un’avventura ai confini del mondo fino ad allora esplorato a dorso di mulo ed in coda a carovane di mercanti, su navi robuste e battelli fatiscenti, in case di pietra o all’addiaccio, a cena con ricchi Iman o a digiuno.   

Romanzo storico, documentato dalle corrispondenze dell’epoca, ben strutturato dall’autore che a tratti si lascia anche andare a commenti e valutazioni sulle caratteristiche personali emotive e relazionali dei partecipanti all’eroica spedizione. Rimane impressa la capacità di Hansen di descrivere i luoghi visitati e l’umanità incontrata, e i diari dei membri della spedizione ci aiutano a capire lo sforzo e l’entusiasmo nel compiere un’impresa che rimane ancora oggi un apporto fondamentale alla scienza e alla conoscenza di luoghi che rimangono remoti. La domanda che fa sfondo a tutte le pagine del libro: perchè si chiama Arabia Felix?  “O forse la felicità è in ogni luogo: il confine del suo paese è quel cerchio perfetto che l’orizzonte traccia intorno a noi e di cui, ovunque ci troviamo, sempre siamo il centro”.

 

Presentazione dell’editore

Il 4 gennaio 1761 una nave lascia il porto di Copenhagen diretta a Costantinopoli: a bordo vi sono i membri della prima grande spedizione scientifica danese. La meta è lo Yemen, la terra che, fin dall’antichità, porta uno di quei nomi «che usiamo dare ai luoghi che conosce solo la nostra nostalgia». «Perché l’Arabia Felice è chiamata felice?», scrive nel diario il giorno della partenza Peter Forskkål, uno dei protagonisti della spedizione. Ed è questa la domanda sottintesa a tutto il libro: esiste il paese della felicità? Ricostruendo sulla base di innumerevoli documenti la storia del «viaggio arabo» voluto da Federico V, e seguendolo tappa per tappa, attraverso Costantinopoli, Alessandria, Il Cairo, il Sinai, il mar Rosso fino allo Yemen e la lunga odissea del rientro in patria, Thorkild Hansen racconta in realtà la storia di ogni esperienza umana: quel viaggio di andata e ritorno di cui parlano i miti, le fiabe, le epopee. Gli scienziati partono, per scoprire e conoscere, ma in realtà proiettano in un luogo lontano la realizzazione dei propri sogni – di sapere, di gloria, di ricchezza – troveranno sofferenze, fatiche, gioie, conquiste, fallimenti, e la morte. Solo uno farà ritorno: Carsten Niebuhr, partito come «il figlio inetto» delle fiabe, convinto di non essere all’altezza del suo compito, ma aperto alle esperienze, capace perfino di rinunciare alla propria identità per fare sua la lezione del deserto: «non avere niente, non essere niente». La felicità non è in nessun luogo: il nome di Arabia Felix è nato da un equivoco. O forse la felicità è in ogni luogo: il confine del suo paese è quel cerchio perfetto che l’orizzonte traccia intorno a noi e di cui, ovunque ci troviamo, sempre siamo il centro.

(Non) sopravvivere all’infodemia Covid: consigli per letture e visioni

1991 – L’immunologo Fernando Aiuti bacia la sua paziente Rosaria Iardino

(Post in aggiornamento)

Introduzione

Giuseppe D’Avanzo 13 Settembre 2005

Già gli americani, dopo l’11 Settembre, hanno sperimentato quale straordinario strumento di governo possa essere la paura. Diventata fondamento della ragione politica (e morale), la paura svela una forza incontrollabile. Può correggere la mappa del potere (rafforzandone la verticalizzazione autoritaria); ridistribuire le risorse di una società; influenzare il dibattito pubblico; condizionare in modo significativo le scelte della politica pubblica; deformare pesantemente i diritti fino a trasferire la soluzione di ogni controversia a uno stato pre-giuridico dove contano solo il sospetto e il pregiudizio. Diventata “idea politica”, e magari alimentata con sapienza della élite del potere, la paua può modificare le nostre convinzioni su presente e futuro, conflitto e sicurezza, libertà e protezione, “noi e loro”.

Ieri il terrorismo, oggi il virus, domani l’ambiente…

Anno 2020, il futuro distopico è qui. Misure di contenimento inimmaginabili fino a pochi mesi fa sono la realtà quotidiana: autocertificazioni per uscire di casa, controlli più o meno serrati delle forze dell’ordine, paura, neolingua, vita biologica contro vita sociale, distanziamento tra persone, mani lavate (e cuori sporchi. Citazione), mascherine al chiuso e all’aperto. L’altro da noi è ormai un virus, un pericolo per noi e per i nostri cari (“Ho i miei genitori anziani”), e non ci resta che rimanere tappati in casa più tempo possibile davanti alla tv o al computer connesso. La divisione tra apocalittici e integrati è forse uno degli aspetti più inquietanti di questo tragico anno: essendo il messaggio finale che l’altro è pericoloso diventano pericolose anche le due fazioni.

L’epifenomeno dei contagiati da coronavirus con i relativi ricoveri e “le terapie intensive” sono il mantra martellante che i mass-media ripetono a reti quasi unificate per 24 ore al giorno da ormai 10 mesi. 

Chi prova a spiegare che dietro l’epifenomeno potrebbe essere catalizzatore di riforme e rivoluzioni economiche, sociali, relazionali, viene bollato come “complottista” o “negazionista”(qui un interessante riflessione di Wu Ming sul termine). Senza sapere che esistono riferimenti letterari, saggistica, film, serie TV, fumetti che aiutano a interpretare il mondo oltre i confusi numeri forniti dalle autorità nazionali ed internazionali.

Ecco una breve guida di letture, film e serie TV che offrono spunti di riflessione e di analisi del 2020. La lista sarebbe infinita, questo è solo un inizio.

Saggistica

Romanzi

Video Youtube

Film e televisione

  • Handmaid’s tale. Serie TV ideata da Bruce Miller e tratto dal romanzo di Margaret Atwood. (Per stomaci forti. Un futuro in cui non nascono i bambini, le ancelle sono le donne fertili che vengono assegnate alle famiglie delle élite per procreare. Il mondo che ruota attorno alle ancelle e alle stesse famiglie dominanti è inquietante, tetro. Difficile da recensire, durissimo da vedere e non cogliere le per fortuna ancora poche assonanze con il mondo del 2020)
  • Michael Radford, 1984. (Tratto dal romanzo di Orwell)
  • Danny Boyle – 28 giorni dopo (In una Londra spettrale, evacuata dopo una pandemia di rabbia, Cillian Murphy trova la strada di casa insieme ad alcuni compagni di viaggio. Sceneggiato dallo scrittore Alex Garland, anche regista del titolo che segue )
  • Alex Garland – Ex Machina (Cos’è un uomo? Cos’è un robot?)
  • Steven Soderbergh – Contagion (Può esistere una teoria del complotto prima del complotto stesso? Questo film di Soderbergh del 2011 sembra immaginare con precisione ed accuratezza la pandemia di Covid-19. Dalla nascita del virus in una foresta in Oriente dalle feci di un pipistrello alle quarantene fino alle vaccinazioni di massa. Buona visione)
  • Black Mirror – Serie TV Antologica. Quante volte durante il primo confinamento obbligatorio del Marzo 2020 abbiamo sentito: “Sembra di vivere in una puntata di Black Mirror?”. La forza profetica della serie è inquietante, essendo stata capace di anticipare tanti temi che durante e dopo i provvedimenti antiCovid sono emersi palesemente nella nostra società occidentale, primo fra tutti il dominio e l’abuso di tecnologia, soprattutto quella portatile. La serie consiste in 5 stagioni per 22 episodi indipendenti; c’è ovviamente una connessione implicita tra gli episodi ma ognuno di essi rimane unico e visionabile senza conoscere le puntate precedenti. L’ideatore della serie è lo scrittore e giornalista britannico Charlie Brooker, il primo episodio è andato in onda a fine 2011 (The National Anthem, una puntata particolare ed abbastanza “analogica” rispetto a quelle che seguiranno, il cui tema centrale è la scopofilia del pubblico di Youtube), l’ultimo nel Giugno 2019 (Rachel, Jack & Ashley too, che tra i tanti contenuti tocca quello della programmazione Monarch di alcune star di Hollywood, non a caso interpretata da Miley Cyrus). In mezzo episodi più o meno memorabili e più o meno disturbanti, un tempo fantascientifici ed oggi vicini alla realtà: impossibili da sintetizzare qui. Certo stupisce come Brooker intuisca e porti alla realtà un progresso che sembrava lontanissimo: le case ricaricabili con una bici elettrica (15 milioni di celebrità St1 Ep2), gli Avatar del metaverso di Striking Vipers (St5Ep1), o anche i robot poliziotto della Boston Dynamic di Metalhead (St4Ep5), passando per gli hater di Hated in the Nation (St3Ep6). Una serie TV che vale l’investimento di tempo, considerando che in media un episodio dura 45 minuti; ne otterrete in cambio tanto cibo per la vostra mente. Segnalo i miei episodi preferiti (St1Ep3; St2Ep1; St2Ep2; St3Ep1; St3Ep4; St3Ep6; St4Ep2; St4Ep5; St4Ep6; St5Ep1). Per prepararsi mentalmente al futuro teorizzato da Orwell, rappresentato da Brooker, realizzato da BigTech e programmato dal WEF.

Sitografia

  • Dichiarazione di Great Barrington – Redatto da Dott. Martin Kulldorff, professore di medicina all’Università di Harvard, biostatistico ed epidemiologo con esperienza nell’individuazione e nel monitoraggio delle epidemie di malattie infettive e nella valutazione della sicurezza dei vaccini. Dott. Sunetra Gupta, professore all’Università di Oxford, epidemiologo con esperienza in immunologia, sviluppo di vaccini e modellazione matematica delle malattie infettive. Dott. Jay Bhattacharya, professore alla Stanford University Medical School, medico, epidemiologo, economista sanitario ed esperto di politica sanitaria pubblica, con particolare attenzione alle malattie infettive e alle popolazioni vulnerabili.

Wired – Il vero volto della Cina

Numero monografico di Wired sulla Cina, oramai superpotenza globale multisettoriale. Geopolitica, tecnologia, architettura, big-data, spazio, e immancabilmente la sanità del mondo SarsCovid19. Per comprendere il mondo attuale, i rapporti di forza con gli Stati Uniti e le prospettive per gli anni a seguire.

Emilio Salgari – La boheme italiana

(Dalla presentazione della casa editrice)

Un racconto autobiografico, l?unico nella produzione di Salgari, in cui il creatore di Sandokan riporta alla mente i giorni della sua giovinezza, quando lasciò la città per vivere in campagna e fondare la Topaia, piccola comunità artistica di impronta bohémienne. Sulle orme dei protagonisti della vita goliardica, rocambolesca e intellettuale della Parigi di Murger, che Puccini contribuirà a rendere celebre nell?immaginario comune, anche i giovani italiani vissero la loro bohème, tra bevute, musica, espedienti per sbarcare il lunario e non pagare l?affitto. Ma come nella Bohème originale, in cui il freddo alla fine arriva alle porta di Rodolfo e Mimì, anche questo scritto di Salgari è percorso dalla malinconia per una fase spensierata della vita ormai perduta.

Giorgio Agamben – A che punto siamo?

Riflessioni pacate e profonde di Agamben sull’epifenomeno Coronavirus e sulla società che cambia. Fuori dal dibattito giornalistico negazionisti-rigoristi, Agamben propone la sua visione in modo asciutto invitando il lettore a riflettere e a porsi domande sul presente e sul futuro che ci attende.

Come da titolo del libro, Agamben suggerisce che la domanda a cui dovremmo provare a rispondere non è “Dove andiamo?” o “Da dove veniamo” ma semplicemente “A che punto siamo?”.

Dalla presentazione dell’editore

Agamben ha raccolto in questo libro tutti i suoi interventi sull’emergenza sanitaria che stiamo attraversando. Al di là di denunce e descrizioni puntuali, i testi propongono in varia forma una riflessione sulla Grande Trasformazione in corso nelle democrazie occidentali. In nome della biosicurezza e della salute, il modello delle democrazie borghesi coi loro diritti, i loro parlamenti e le loro costituzioni sta ovunque cedendo il posto a un nuovo dispotismo in cui i cittadini sembrano accettare limitazioni delle libertà senza precedenti. Di qui l’urgenza della domanda che dà il titolo alla raccolta: a che punto siamo? Fino a quando saremo disposti a vivere in uno stato di eccezione che viene continuamente prolungato e di cui non si riesce a intravedere la fine?

 

Giuseppe Pastore – La squadra che sogna

Giuseppe Pastore racconta con precisione, e con una punta di sano distacco, l’entusiasmante percorso della Nazionale italiana di pallavolo che tra il 1989 e 1996 ha conquistato trofei e fatto innamorare gli sportivi di tutto il mondo. L’allenatore, anche se definirlo così è riduttivo, era Julio Velasco: il vate, il guru, il maestro, il santone (lui odierebbe questi titoli) argentino che ha trasformato un gruppo di giovani talentuosi in una macchina perfetta capace di vincere mondiali, europei e World League a ripetizione.

I capitoli del libro sono divisi in anni solari e ripercorrono allenamenti, partite, set e punti della nazionale, arricchiti con dei paragrafi monografici dedicati ai singoli giocatori e alle loro storie personali e sportivi. Fantastico il paragrafo che riporta l’intervento integrale di Velasco all’Università di Bologna, un sunto perfetto del pensiero di Coach “Giulio”.

Il ricordo personale di quella squadra è indelebile per chi in quegli anni si avvicinava alla pallavolo, uno sport che divenne il secondo per popolarità nel nostro Paese. Tanti campioni che entrarono nelle nostre case diventando personaggi amati e seguiti: Andrea Lucchetta, il primo capitano e forse il più carismatico elemento del gruppo. 

Ricordo personale dei pallavolisti della squadra sognante

Lucchetta: non era possibile non amare il Capitano della nazionale azzurra. Capelli a spazzola scalati, sorriso magnetico, dialettica mai banale, ancora oggi personaggio televisivo e radiofonico. In campo il suo carisma si faceva sentire ad ogni palla che cadeva a terra, in ogni punto a favore o contro. Andrea Lucchetta è stato l’uomo più rappresentativo di quella squadra e le esclusioni di Velasco dopo Barcellona 1992 furono una pugnalata per molti tifosi; tifosi che poi arrivarono ad accettare ed ad amare il nuovo capitano Gardini e i nuovi centrali che regalarono altre vittorie agli azzurri.

Zorzi: il supereroe della squadra. Andrea Zorzi per i ragazzini dell’epoca era il pallavolista “più forte del mondo”, e molti rimanemmo stupiti quando il titolo di giocatore del secolo venne assegnato a Bernardi e a Kiraly (senza nulla togliere a livello tecnico e di mentalità a questi due fenomeni). Altissimo, potente e tecnico, Zorosan ha fatto sognare un’intera di generazione che si avvicinava ai parquet. Insieme al capitano Lucchetta, Zorzi è stato anche il simbolo della Mediolanum dei campioni che vinse il mondiale per club.

Gardini: l’altro centrale, dopo Lucchetta da cui erediterà la banda di capitano, la certezza, la roccia, la sicurezza. Diverso per stile dal capitano, si ricordano i suoi primi tempi letali. Fenomeno.

Bernardi: mister Secolo, il miglior giocatore del secolo assieme a Kiraly, non è mai stato un mostro di simpatia, soprattutto per gli avversari. Uno di quei volti che vorresti sempre al tuo fianco in una battaglia. Freddo come un killer, sportivamente cattivissimo. 

Giani: il ritratto che ne fa Giuseppe Pastore è semplicemente perfetto. Leggetelo.

Cantagalli: all’epoca i giornali ne parlavano bene, ma in campo commetteva diversi errori che facevano irritare i tifosi. Rimane un martello potente e affidabile.

Tofoli: il regista, compagno di squadra di Bernardi, freddo e sicuro nelle sue giocate. Sembrava alto un metro e mezzo, a distanza di anni scopro che misurava quasi centonovanta centimetri.

De Giorgi: l’attuale CT giocava poco ma non pochissimo, oggi pare un saggio, ma in quegli anni sembrava un comico. Ogni intervista, commento, movimento lo rendevano un personaggio da cabaret. Non stiamo parlando di una macchietta sia chiaro, anzi di un palleggiatore talentuoso e amato dal pubblico.

La generazione di fenomeni era molto più ampia, ma noi ci fermiamo qui. Leggete il libro del buon Pastore

Daniel Estulin – Cospirazione Octopus

 

Daniel Estulin, saggista e romanziere, offre la sua visione (tra le altre cose) sulla moneta elettronica e i rischi ad esso connessi. Elite finanziarie, giornalisti d’inchiesta, geni dell’informatica, anche il presidente degli Stati Uniti, tutti insieme per risolvere una crisi finanziaria dai possibili risvolti devastanti per la vita dei risparmiatori comuni. Vi dice niente? Romanzo intelligente, scorrevole e con la giusta dose di intrigo. Una lettura piacevole sotto l’ombrellone.

(Dalla presentazione editoriale)

L’economia mondiale è sull’orlo del collasso e, mentre si indebolisce il potere dei governi dei singoli Stati, cresce l’attività di controllo di un ristretto gruppo di persone, una regia occulta che manovra nell’ombra le sorti del pianeta. Il giornalista Danny Casolaro è stato assassinato nel corso di un’indagine che potrebbe portare alla luce il più grande dei complotti. Tentando di ricostruire le circostanze della sua morte, la sorella Simone viene a conoscenza di Octopus, nome dietro cui si cela l’organizzazione segreta delle élite politico-finanziarie. L’obiettivo di Octopus è il recupero dei codici segreti per accedere a conti correnti nei quali è depositata un’enorme quantità di denaro: il tesoro che da oltre mezzo secolo viene utilizzato per le attività illecite dei veri potenti del pianeta. Anche il Presidente degli Stati Uniti è alla disperata ricerca di quei soldi per salvare l’economia globale. Daniel Estulin, l’autore che ha fatto conoscere al mondo i segreti del Club Bilderberg, tesse la tela di un thriller senza respiro, delineando l’allucinante scenario di un mondo governato dai poteri occulti e dai gruppi d’interesse. Ma dove finisce la fantasia e comincia la realtà? Scritto da un implacabile indagatore dei meccanismi che regolano il Nuovo Ordine Mondiale, “Cospirazione Octopus” getta una luce inquietante sul futuro che ci aspetta.

Gianni Minà – Storia di un boxeur latino

 

La vita e la carriera di Gianni Minà in un libro tanto atteso quanto necessario. Minà parla della sua infanzia a Torino e delle origini della sua famiglia materna scampata al disastro del maremoto di Messina del 1908; la sua formazione e le sue avventure professionali in giro per il mondo. Un giornalista capace di farsi apprezzare dai suoi lettori e dai protagonisti che racconta nei suoi articoli e nei suoi documentari: Muhammad Ali, Eduardo Galeano, Jorge Amado, Gabriel Garcia Marquez, Robert De Niro. Personaggi che hanno segnato la vita sportiva, culturale e artistica del mondo.

Minà rappresenta l’idea stessa di giornalismo romantico: quella professione fatta di sala stampa affollate e telefoni a gettoni, macchine da scrivere e taccuini. Un giornalismo fatto in presenza, girando il mondo e arricchendosi mentre si racconta ai lettori l’evento e il mondo che lo circonda. Uno degli ultimi maestri di una professione che ha fatto sognare generazioni di lettori e studenti. La vita che si fa epica: Gianni Minà.

 

Alex Pentland – Fisica sociale

Recensione di Letteratura di Viaggio.

“Io vivo nel futuro”. Questo l’incipit dell’introduzione di Pentland al suo libro. Questo futuro che dopo la “pandemia” Covid-19 è diventato presente. Lo scienziato americano ci parla di intelligenza collettiva e reti sociali, di big data e dell’applicazione nelle nostre vite.

La tesi principale di Pentland è favorire l’interazione degli esseri umani: in azienda durante le ore di lavoro e in città durante il tempo libero. Il fine è quello di dare maggiore creatività alla soluzione dei problemi, aumentare la produttività e soprattutto arrivare a predire i comportamenti non dei singoli ma dell’insieme degli esseri umani che vivono in una comunità. Non solo per motivi commerciali o di consumo ma anche per ottimizzare gli spazi e le funzionalità delle nostre città.

Pentland si serve della matematica e di alcune complesse (per il lettore medio) equazioni per teorizzare la sua ricerca, oltre che di badge biometrici capaci di registrare le emozioni ed il comportamento umano. Gli smartphone capillarmente diffusi e il loro uso ogni ora sono un ulteriore elemento per raccogliere e organizzare i big-data.

L’immagine di copertina del libro è quantomai eloquente: per comunicare allo sciame dove costruire il loro alveare un ape inizia a volare verso il punto prescelto. Se viene seguita dapprima da un numero esiguo di altre api aumenta la possibilità che anche altre api seguano lo sciame e infine che il luogo prescelto divenga la loro futura base.

Un libro moderatamente complesso da leggere e da comprendere, tuttavia imperdibile per analizzare il presente iperconnesso e ipotizzare il futuro nostro, delle nostre città ed in ultima analisi anche dell’umanità.

Dalla presentazione del libro.

“Se la rivoluzione dei big data ha un genio che la presiede, questi è certamente Alex Pentland. In anni di esperimenti innovativi ha distillato scoperte che oggi spalancano le porte di un campo scientifico completamente nuovo: la fisica sociale. La fisica sociale si occupa del flusso delle idee e di come le reti sociali le diffondano e le trasformino in comportamenti. Finora le ricerche dei sociologi sono dipese da set di dati limitati e da indagini che ci dicono ciò che le persone dichiarano circa i propri pensieri e comportamenti, piuttosto che ciò che veramente pensano e fanno. Siamo rimasti ancorati all’uso di categorie quali le classi sociali o il mercato. In realtà, gli esseri umani rispondono in modo molto più potente a stimoli sociali che implichino la gratificazione degli altri e rafforzino i legami, invece che a stimoli che implichino solo il loro proprio interesse economico. Pentland conduce i lettori oltre la soglia della più importante rivoluzione nello studio del comportamento sociale, verso un modo completamente nuovo di guardare alla vita stessa. Prefazione di Filippo Barbera, postfazione di Cosimo Accoto.”

Daniel Estulin – Transevolution

 

Viaggio alla fine dell’Uomo come lo intendiamo oggi. In un libro profetico scritto nel 2013, Daniel Estulin vede in anticipo il mondo e l’umanità tutta cambiare. La crisi dell’economia globale, lo sviluppo tecnologico, l’esplorazione spaziale e il cambio di paradigma tecnologico che porta l’uomo a evolvere verso nuove forme. O a transevolvere? Scenari che sembravano lontani anni luce sono ora realtà secondo Estulin e secondo i documenti che produce. Fuori dai complottismi da quattro soldi, non è un libro consolatorio e per chi è a caccia di tranquillità e sicurezza. Il lavoro di Estulin si è spesso dimostrato profetico, nei suoi testi ha spesso anticipato il futuro. Un futuro, quello dell’uomo del pianeta Terra, che evidentemente non evolve in maniera casuale ma che è programmato e rilasciato progressivamente per rispondere agli interessi dei veri padroni del mondo. Padroni che probabilmente vogliono preservare la ricchezza del pianeta non solo per fini ecologistici ma soprattutto per tutelare loro stessi e i loro diritti acquisiti nei secoli. Gli uomini non appartenenti alle èlite sono semplici pedine da manovrare sullo scacchiere, elementi funzionali al gioco.  

Estulin è un ex agente del KGB con 24 anni di servizio e dottore in intelligenza collettiva. Il complotto e la cospirazione globale sono solo nel suo cervello o sono la quotidianità che viviamo ma che non vediamo perchè persi nelle distrazioni della vita quotidiana?

Autore di altri libri della stessa matrice, Il club Bilderberg, L’istituto Tavistok, Estulin offre un punto di vista alternativo a chi prova a cercare verità che vadano oltre la narrazione che offrono i mass media tradizionali e la confusione creatasi sulle reti sociali.

Questi i capitoli che compongono il libro, tutti scritti in modo chiaro e soprattutto documentato:

1 – L’economia

2- Cospirazione geneticamente modificata

3- Riprogrammare le masse

4- L’esplorazione spaziale

5- Il Transumanesimo

 

Un ricordo di Luis Sepulveda (1949 – 2020)

Addio a Luis Sepulveda, intellettuale cileno e autore di libri amati in tutto il mondo: Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, La frontiera scomparasa, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Quest’ultimo fu anche trasposto in un film animato realizzato da Enzo D’Alò quando la parola graphic novel non ancora esisteva.

Sepulveda nacque in Cile e visse i drammatici momenti della prigionia sotto la dittatura di Pinochet.

Nei suoi libri il viaggio è sempre presente, assieme all’esilio e al sogno della libertà. Una libertà guadagnata con gli anni e con l’esilio in Spagna, terra dove è morto oggi. Il mondo da oggi è meno ricco, mancherà il contributo di un intellettuale che ci avrebbe aiutato ad interpretare il momento di riassestamento globale e di ridiscussione delle libertà.

Paola Pedrini – Gli angeli di Calcutta

Dalla presentazione sul sito polariseditore.it

Gli Angeli di Calcutta: Sguardi sulla città e sul volontariato
Viaggiare per conoscere, per partecipare, non solo per vedere e poi raccontare. Paola Pedrini ha valicato il confine che separa il viaggio, anche il più coinvolgente, dall’immersione totale che né il turista, né il viaggiatore più smaliziato possono sperare di raggiungere. “Dopo tanti viaggi in India come donna e viaggiatrice è giunto un momento in cui ho sentito la necessità di fermarmi. Fermarmi e semplicemente dare. Chiedendomi il perché ma senza avere la pretesa di riuscire a trovare le risposte. A Calcutta, una delle città più terribilmente affascinanti dell’India, ho prestato volontariato in uno dei centri fondati da Madre Teresa e oggi gestiti dalle Missionarie delle Carità. A Calcutta ho conosciuto la povertà, la malattia, il degrado. Ma non solo. Ho imparato cosa significa amare, ho capito che non è mai abbastanza, ma quell’amore ha un valore inestimabile. Ho conosciuto persone speciali che hanno cambiato la mia vita, queste persone sono gli Angeli di Calcutta”.

John Fante – Un anno terribile

 

Da Torricella Peligna al Colorado, la storia di Dom Molise e della sua famiglia: nonna Bettina che parla solo italiano, il padre muratore disoccupato e giocatore di biliardo a tempo perso, la mamma rassegnata alle scappatelle del marito e i fratelli sullo sfondo, tutti in cerca di presente e di futuro.

Dom adora il baseball, la sua meta è diventare una stella come Joe di Maggio: passa le sue giornate con il suo amico Ken Parrish, allenandosi e sognando di lasciare il Colorado. In mezzo a miseria e povertà Dom trova il tempo per innamorarsi di Dorothy, sorella di Ken e ragazza più ricca della città.

Pagine cariche di passione e di sofferenza senza mai essere auto-indulgenti, pagine di una povertà da Nuovo Mondo, di grande attualità.

Sarebbe stato quasi meglio rimanere a Torricella Peligna. O no?